Verso un sistema più solido e competitivo: Alessia Zorloni sugli effetti della riduzione dell’IVA

L'intervista con l'economista della cultura: «La direttiva Ue potrebbe avere un impatto significativo sul rilancio dell’arte italiana»

Il Governo intende recepire la direttiva Ue per la riduzione dell’IVA ma sono ancora tanti i dubbi e ambiguità sul tema fiscale. Ecco cosa ne pensano gli esperti del settore

Se è vero che negli ultimi anni l’arte, anche quella contemporanea, è sempre più oggetto di interesse da parte del pubblico e dei privati, è anche vero che nel nostro Paese non ci sono state manovre fiscali decisive che abbiano garantito grandi vantaggi a coloro che vogliono investire in Italia. Troppo spesso viene detto dagli operatori del settore che, rispetto ad altri paesi, il nostro contesto normativo e fiscale riserva per chi vuole acquistare e collezionare opere d’arte in Italia una serie di complicazioni e incertezze. Fattori che rallentano le operazioni economiche rendendoci meno competitivi rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea, come la Francia, ad esempio, che da sempre vanta un’aliquota bassa sull’importazione dei beni detenendo il primato nel mercato dell’arte acquisito anche dopo la Brexit, una condizione privilegiata che se entrassero in vigore le nuove direttive europee verrebbe messa in discussione. Abbiamo deciso pertanto di approfondire con esperti del settore il rapporto tra arte e fisco, cercando di capire che impatto avrebbero sul mercato operazioni come quella annunciata dal governo qualche settimana fa. La parola ad Alessia Zorloni, economista della cultura.

Che cosa c’è da aspettarsi da un’eventuale riduzione dell’IVA sulla circolazione delle opere d’arte?
«In un mercato globalizzato, come quello dell’arte, il collezionista sceglie il luogo dove fare acquisti anche dove il prezzo finale (incluse le imposte) è più basso. In Italia, è bene ricordarlo, l’aliquota Iva sulle cessioni di beni d’arte è del 22%, mentre sulle importazioni e sulle cessioni dirette dall’artista è del 10%. Pertanto l’abbassamento dell’aliquota Iva sull’importazione delle opere d’arte dal 10% al 5%, estendendola anche alla cessione di oggetti d’arte o da collezione avrebbe un ruolo importantissimo nel salvaguardare il funzionamento del mercato interno, evitando distorsioni della concorrenza e rendendo l’Italia un paese attrattivo dove fare acquisti d’arte».

Che impatto avrebbe l’applicazione della direttiva dell’Ue sul nostro Paese?
«L’inclusione delle opere d’arte tra le categorie che possono beneficiare dell’aliquota Iva ridotta potrebbe consentire una maggiore fruizione e disseminazione dell’arte italiana nel mondo, un sostegno alla produzione artistica contemporanea e agli stessi artisti. Nel complesso, qualora venisse recepita, questa misura potrebbe avere un impatto significativo sul rilancio dell’arte italiana, rendendo il nostro sistema dell’arte più solido e competitivo».

La Corte di Cassazione, nei giorni passati, ha emanato intanto un’ordinanza (relativa alla normativa vigente) che opera una differenziazione tra le diverse categorie di acquirenti: collezionista, mercante e speculatore occasionale, applicando una diversificazione anche sul loro regime fiscale. Quale opinione si è fatta su questo aspetto? Pensa sia la strada giusta per una maggiore trasparenza sul piano fiscale?
«I criteri stabiliti dalla Corte di Cassazione tengono conto dello scopo dell’acquisto, della durata del possesso, della frequenza e del numero delle transazioni, delle attività finalizzate alla vendita e delle motivazioni sottese all’alienazione. Se, in base a questi criteri, il contribuente viene individuato come collezionista, la cessione non è sottoposta a tassazione. Se, invece, è qualificabile come mercante d’arte o speculatore occasionale, la plusvalenza è assoggettabile a Irpef; nel caso di mercante d’arte l’operazione rileva anche a fini Iva. Infine qualora si vogliano vendere dei beni ricevuti in successione o in donazione non vi sarebbe alcuna tassazione delle plusvalenze in quanto sarebbe assente l’intento speculativo. In linea di principio un approccio di questo tipo potrebbe essere giusto, ma occorre stabilire criteri certi che permettano di distinguere chi agisce come “speculatore” da chi agisce come “collezionista”. Alcuni aspetti ad oggi non sono condivisibili, come il riferimento alle attività finalizzate a valorizzare l’opera (e pertanto secondo la Corte a facilitarne la vendita). Tale espressione comprende attività come la catalogazione, la conservazione dell’opera in caveau, l’assicurazione dei beni collezionati e persino il prestito delle opere a musei. Attività che già in passato sono state erroneamente ritenute sintomatiche dello svolgimento di un’attività commerciale. Al contrario queste son attività volte alla conservazione, allo studio e alla fruizione pubblica di un patrimonio storico-artistico privato, lodevoli iniziative ritenute delle best practice a livello internazionale nella gestione dei beni artistici, che vanno certamente incentivate, non penalizzate. Per la definizione di regole certe si potrebbe ispirarsi alla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita degli immobili, dove non vi è capital gain se l’immobile viene venduto dopo un periodo di 5 anni o guardare al modello francese, che assoggetta i proventi derivanti dalla cessione di opere d’arte ad un’aliquota decrescente all’aumentare degli anni di detenzione dell’opera».

E per quanto riguarda l’arte digitale? Quali regole si applicano al collezionismo di NFT e quali misure sarebbe opportuno prendere per chiarire una volta per tutte il loro peso anche nel mercato dell’arte?
«Non si capisce come mai la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita dell’arte digitale (i.e., NFT) abbia un trattamento diverso rispetto all’arte fisica. La legge di bilancio n. 197/2022 prevede infatti per le cripto asset una tassazione del 26% a prescindere dall’intento speculativo, diversamente dalla tassazione delle plusvalenze delle opere d’arte fisiche. Come a paragonare l’arte digitale ad un’attività finanziaria o ad insinuare che dietro la vendita di un’opera digitale ci sia sempre un intento speculativo».

Alessia Zorloni, economista della cultura, è docente di Mercato dell’arte all’Università IULM. Oltre all’attività accademica, ha fondato Art Wealth Advisory, società specializzata nella formazione executive e nell’offerta di servizi di art advisory. Nel corso della sua carriera si è occupata di gestione e valorizzazione dei patrimoni artistici per privati, società di consulenza e musei, tra cui CBA, Boston Consulting Group, Kunsthalle Wien, Tate Gallery, Guggenheim Museum e Smithsonian Institution. Collabora con Private, il mensile dedicato al private banking, con Il Giornale dell’arte ed è autrice di più di 30 pubblicazioni tra cui i libri Il mercato dell’arte: guida pratica per consulenti finanziari e private banker (FrancoAngeli), Musei Privati. La passione per l’arte contemporanea nelle collezioni di famiglia e d’impresa (Egea),  Economia dell’arte contemporanea (FrancoAngeli), Economics of Contemporary Art. Markets, Strategies and Stardom (Springer) e Art Wealth Management. Managing Private Art Collections (Springer). Ha conseguito un Master in Arts Management alla City University di Londra, un Ph.D in Economia della Comunicazione all’Università IULM di Milano e una specializzazione in Wealth Management alla SDA Bocconi School of Management. È membro dell’Adviosry Board di ArtVerona.

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