CANEMORTO, uno e trino. La mostra En plein air da Spazio C21

Codici dell’underground metropolitano e riferimenti colti alla storia dell’arte si mischiano nella pratica dei CANEMORTO che a Reggio Emilia presentano una serie di opere su tela e un docufilm in anteprima

Irriverenti, sarcastici e ironici; lavorano a viso coperto, sono fedeli al mito di una divinità maligna dalle sembianze di un cane morto e parlano un linguaggio ermetico, il canemortish. Sono i CANEMORTO che presentano a Reggio Emilia, da Spazio C21, il loro ultimo progetto EN PLEIN AIR, fino al 15 aprile.

CANEMORTO, portrait. Photo Fabrizio Cicconi

«I CANEMORTO si incontrano sui banchi di un liceo brianzolo, nel 2007 – racconta Eugenio Sidoli, promotore della mostra e insieme a sua moglie Sandra Varisco animatore dello spazio reggiano – e raffinano un codice estetico distintivo nell’alternanza tra graffiti, pittura murale e accademia d’arte, lavorando sempre a sei mani; per questo si definiscono “uno e trino”. La loro produzione è elaborata sui codici di comunicazione della società nella quale viviamo: scrivono, dipingono indoor e outdoor, cantano, scolpiscono, tatuano, incidono e illustrano; passano con agilità dal grande murale al packaging, dal fumetto al video, con un piede dentro il sistema dell’arte e l’altro ben ancorato al suo esterno».

CANEMORTO, portait. Photo Fabrizio Cicconi

Intrisa di codici dell’underground metropolitano e di riferimenti colti alla storia dell’arte, la pratica dei CANEMORTO si rifà a un senso antiestetico che si contrappone al mito del bello del nostro tempo.
Il perno dell’intera mostra è il video diretto da Marco Proserpio, presentato in anteprima in occasione della mostra inaugurta a febbraio, in cui viene documentata la partecipazione degli artisti a un concorso di pittura estemporanea en plein air, avvenuto nei mesi scorsi. Un concorso a cui i CANEMORTO non solo partecipano, ma dal quale escono vincitori nonostante abbiano fatto di tutto per perdere, con un racconto di improbabili vicessitudini tra spavalderia e generosità. Esposta anche una serie di quadri dove i tre si confrontano con il genere della pittura en plein air e di paesaggio, e dai quali emerge un grande legame con la storia dell’arte. «La nascita della pittura en plein air provoca una reazione furiosa da parte delle masse, che odiano profondamente questo nuovo genere di pittura», esamina Antonio Grulli nel testo critico che accompagna la mostra. «L’intero progetto dei CANEMORTO è un enorme e poetico tributo alla pittura en plein air […]. È un tributo poetico alla maniera dei CANEMORTO, in cui la beffa teppistica diventa vicinanza e trucco per poter abbracciare ciò che sembra distante e diverso».

«Si è veri artisti – continua Grulli – se si è in grado di prendere almeno un elemento che non aveva cittadinanza nel mondo dell’arte, che viveva al di fuori dei confini artistici, e si riesce a far capire, con la propria forza e la propria abilità, che quell’elemento ha pieno diritto di esistenza come oggetto, sentimento, forma, stile in quel mondo dell’arte da cui fino a poco prima era interdetto. Il “fuori” è il centro dell’arte».

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