Reaching for the stars – viaggio intergalattico nella Collezione Sandretto Re Rebaudengo

Dalla collaborazione tra Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la mostra presenta trent'anni di opere della collezione sabauda

Per aspera ad astra. Non esiste alcuna via semplice per raggiungere le stelle, eppure, sullo stemma della famiglia Sandretto Re Rebaudengo ne campeggiano tre. Simbolo della famiglia e logo dell’omonima Fondazione, la stella rappresenta il punto di arrivo della mostra organizzata in questi mesi a Palazzo Strozzi per celebrare il trentennale della collezione Sandretto: Reaching for the Stars. Promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, la mostra esplora le principali ricerche artistiche degli ultimi decenni attraverso una costellazione di opere esposte in tutti gli spazi di Palazzo Strozzi, dal Piano Nobile alla Strozzina, con una speciale nuova installazione per il cortile rinascimentale. A cura di Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, l’esposizione celebra quest’anniversario con la volontà di creare una nuova piattaforma di sperimentazione e partecipazione in cui si uniscono sì l’esposizione di opere della collezione, ma anche nuove produzioni site-specific, insieme a un ampio programma di attività, talk e workshop per coinvolgere il pubblico. L’esposizione propone, dunque, un viaggio attraverso le opere di artisti che hanno segnato l’evoluzione delle pratiche artistiche tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, in una selezione che vuole rendere conto della varietà e ricchezza della raccolta torinese, attraverso temi e raggruppamenti inediti in grado di fornire al visitatore uno sguardo sulla produzione artistica internazionale degli ultimi decenni: una galassia all’interno della quale brillano gli astri più luminosi della collezione.

Reaching for the stars, exhibition view at Palazzo Strozzi, 2023, Firenze © Ela Bialkowska OKNO studio

«Reaching for the stars è un viaggio intergalattico nel cosmo dell’arte, un itinerario lungo e articolato, attraverso fenomeni e figure chiave del contemporaneo: le stelle che ci indicano il cammino», afferma Arturo Galansino, Direttore della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra. «Un viaggio in quarant’anni di scoperte e ricerca nell’arte contemporanea. Ospitare a Firenze una collezione come questa significa celebrare i valori del mecenatismo e della committenza nella città dove il grande collezionismo è nato. La collaborazione tra Palazzo Strozzi e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo va oltre la mera esposizione di opere, ma è una sinergia di valori, una piattaforma condivisa in cui stimolare accessibilità, partecipazione e sperimentazione».
Avviata nel 1992, la Collezione Sandretto Re Rebaudengo resta tra le più importanti collezioni private d’arte contemporanea in Europa, contando oltre 2000 opere, sia di giovani emergenti che di artisti di fama internazionale. «È per me un onore e una grande emozione poter rivedere le stelle della collezione esposte nelle splendide sale della Fondazione Palazzo Strozzi», dichiara Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. «Festeggiare i trent’anni della mia pratica collezionistica all’interno di questo palazzo, capolavoro dell’architettura rinascimentale è un’occasione per ripercorrere i tragitti dell’arte contemporanea degli ultimi decenni, creando un dialogo vivo con l’antico e con il pubblico in visita. Questa mostra rispecchia il valore della condivisione che da sempre impronta la mia collezione e trova piena sintonia con la linea della Fondazione Palazzo Strozzi, guidata con grande professionalità da Arturo Galansino, a favore della partecipazione e dell’accessibilità della cultura».
Il percorso espositivo curato da Galansino offre differenti chiavi di lettura della collezione, distinguendo per aree tematiche, aprendo a scenari inconsueti per riflettere sul presente attraverso i messaggi dell’arte. E ritroviamo quindi nella prima sala del piano nobile, gli artisti della scena londinese degli anni Novanta, quando tutto è cominciato per Patrizia Sandretto Re Rebaudengo: «I primi artisti che ho conosciuto erano quasi tutti trentenni, come me. Infatti la mia collezione è nata come collezione generazionale. Ho la sensazione che se non avessi conosciuto quegli artisti e quelle artiste probabilmente non avrei iniziato a collezionare». Una scena artistica animata da nuove idee, da talenti emergenti di grande impatto comunicativo. Anish Kapoor, Damien Hirst, Sarah Lucas e poi tutti gli artisti della YBA, caratterizzati dallo spirito sovversivo e provocatore e da una vena dark e spesso macabra. La manipolazione, la trasformazione dei materiali e il loro significato simbolico emergono invece nella Sala 2 del piano. Come moderni alchimisti gli artisti manipolano la materia, innescando processi di metamorfosi: dalla schiuma di sapone che fuoriesce eterea dalle colonne dei Cloud Canyons (1988) di David Medalla, al fluido nero che scorre nei tubicini in vetro, richiamando misteriosi esperimenti chimici nell’opera di Charles Ray, Viral Research. La sperimentazione ritorna, in maniera diversa, nei dipinti di Isa Genzken, realizzati con la tecnica del frottage, per cui la materia bassa del pavimento dello studio imprime la propria consistenza sulla tela che vi è poggiata, trasformandosi in una texture astratta, o nei Knitted paintings di Rosemarie Trockel che ragionano sul valore simbolico del materiale per mettere in crisi le gerarchie tradizionali.

in primo piano: Paola Pivi, Have you seen me before?, 2008, Reaching for the stars, exhibition view at Palazzo Strozzi, 2023, Firenze © Ela Bialkowska OKNO studio

Made in Italy è invece la sezione che ritroviamo nella terza sala, che presenta gli artisti italiani più riconosciuti nella sfera internazionale che raccontano con leggerezza e drammaticità la storia contemporanea del nostro paese. Il turbinio giocoso delle spazzole colorate per autolavaggio di Lara Favaretto diventa riflessione sui processi di erosione, sfinimento e scomparsa. L’orso polare ricoperto di piume gialle di pulcino di Paola Pivi, giocoso e fiabesco, porta con sé un senso di estraneità poco rassicurante, come lo scoiattolo suicida di Bidibidobidiboo che sintetizza perfettamente la visione tragicomica dell’esistenza da parte di Maurizio Cattelan che è presente in sala con altre tre opere che affrontano la tragicità della storia con la stessa ironia dissacratoria a cui l’artista ci ha abituati: Cesena 47-A.C. Forniture Sud 12 (2° tempo), del 1991, Christmas ’95 e Lullaby, del 1994. Le metamorfosi sono al centro dell’opera di Roberto Cuoghi, che nella creazione di figure grottesche e fantastiche rispecchia una identità instabile, sempre in divenire, un’inquietudine che caratterizza anche l’essere sinuoso dipinto da Vanessa Beecroft, che in tutta la sua opera esplora la complessità psicologica del rapporto con il corpo.
Il percorso espositivo continua nella Sala 4, dove troviamo, al centro della stanza, il Self- Portrait di Pawel Althamer. Cera, grasso, capelli e intestino animale sono stati utilizzati dall’artista per affrontare un soggetto, l’autoritratto, centrale nel suo lavoro e frutto di continue sperimentazioni attraverso l’uso d’inconsuete sostanze organiche, indagando il tema dell’alienazione, della solitudine e della fragilità umana. Intorno, troviamo la serie Untitled Film Stills di Cindy Sherman, la battaglia alla retorica pubblicitaria di Barbara Kruger, la denuncia politica nei lavori dell’artista iraniana Shirin Neshat, presente con la stampa fotografica Faceless from Women of Allah Series (1994) e il video del 2001 Possessed. Le sue opere impongono una riflessione sull’assenza dello spazio individuale e della libertà di espressione cui sono soggette le donne iraniane e della forza che anima la loro volontà di emancipazione contro il regime. La fusione tra tecnica digitale e una sorta di nuovo pittorialismo, ritorna nella Sala 5 con la sezione Places, che affronta la critica postmoderna allo statuto dell’immagine. I paesaggi e gli spazi ritratti nelle opere di Jeff Wall, Andreas Gursky, Thomas Struth e Thomas Ruff sono la fusione di luoghi reali e immaginari, visioni costruite in senso drammatico, prima dello scatto o in postproduzione, rese epiche dalla scala e dalla qualit. cromatica della stampa, che evocano la monumentalit. della pittura di storia. Il ritorno alla figurazione che contraddistingue la produzione artistica più recente attribuisce una rinnovata centralità al corpo umano, protagonista di dipinti e sculture dal forte potere narrativo nella sesta sezione, Bodies. I corpi distorti e sfigurati di Berlinde De Bruyckere sono sembianze di esseri fragili, esausti. Le figure seducenti ed enigmatiche di Lynette Yiadom-Boakye coltivano un rapporto diretto con la finzione, persone che sembrano reali ma in realtà sono personaggi d’invenzione che abitano solo il mondo creato dalla pittura, indagando in senso fortemente politico anche la questione razziale. Anche le opere di Andra Ursuţa prendono spunto dalla realtà e da fatti di cronaca per rielaborare in senso fantastico immaginari contemporanei, mentre Michael Armitage mescola fatti e miti kenyoti a riferimenti della storia dell’arte occidentale per riflettere su storie culturali parallele, la fusione tra corpo nero e corpo bianco avviene attraverso un rovesciamento, di posizioni e prospettive. Adriàn Villar Rojas interroga le potenzialità di un immaginario post-umano con sculture d’argilla cruda di esseri umani, animali e cose si disfano di fronte ai nostri occhi, una condizione di confine e di trasformazione che risuona in tutte le opere degli artisti riuniti nella sezione Mythologies, nella Sala 7. Come nel lavoro scultoreo di Giulia Cenci, abitato da esseri ibridi tra organico e inorganico, che parlano di logoramento, entropia e mutazioni fantascientifiche, o nelle figure monumentali di Thomas Schütte, divinità ancestrali, esseri mostruosi o fantastici che emergono dal nostro subconscio in tutta la loro matericità.

Reaching for the stars, exhibition view at Palazzo Strozzi, 2023, Firenze © Ela Bialkowska OKNO studio

Chiude il percorso del piano nobile l’ottava sala, quella dedicata all’Astrazione. L’interesse contemporaneo per l’immagine non figurativa si declina, nelle sale di Palazzo Strozzi, al plurale, nelle molteplici forme di astrazione perseguite dagli artisti, di cui questa selezione offre uno spaccato recente. I quadri di Avery Singer che mettono in dialogo la storia della pittura con la modellazione 3D, l’analogico con il digitale. Tecnologia digitale e sensibilità pittorica collidono anche nelle opere di Wade Guyton, il cui uso deviato delle stampanti a getto d’inchiostro imprime sulla tela i limiti del nostro futuro tecnologico, mentre Tauba Auerbach dà forma a spazi ottici ambigui, che oscillano tra un’immagine astratta e una iperrealista. La tensione tra figurazione e astrazione domina il lavoro di Cecily Brown, che prende ispirazione dalla storia della pittura antica e moderna per composizioni in cui la figura umana è centrale ma al tempo stesso sfuggente, scomposta e liquefatta. L’immagine astratta è infine traccia concreta di un contatto Nella fotografia di Wolfgang Tillmans, che intrattiene con la realtà un rapporto oggettivo, l’immagine astratta diventa traccia concreta di un contatto ed espressione poetica della luce.

Reaching for the stars, exhibition view at Palazzo Strozzi, 2023, Firenze © Ela Bialkowska OKNO studio

Temi sociali legati alla condizione della donna, alla rappresentazione del corpo femminile, ma anche attualità sociopolitica, bias razziali, crisi ambientale e il dramma della disoccupazione, di chi è stato respinto dalla società, che emerge nel lavoro di Josh Kline con le sue sculture iperrealistiche di due lavoratori, chiusi in un sacco di plastica e pronti per essere gettati nell’immondizia, prefigurano un futuro distopico in cui si assiste alla cancellazione della dignità delle persone, “forza lavoro” eliminata e sostituita dalle macchine.
Per quanto quella esposta a Palazzo Strozzi sia soltanto una minuscola parte dell’intera Collezione Sandretto, il viaggio verso le stelle continua al piano inferiore, nei sotterranei della Strozzina dedicati alla selezione video della collezione sabauda che parte ancora una volta dagli anni Novanta. Tra i maggiori rappresentanti di questo nuovo corso c’è sicuramente Douglas Gordon che, in collaborazione con Philippe Parreno, è presente in mostra con il video multischermo Zidane. A 21st Century Portrait. Il documentario sul celebre calciatore diviene riflessione sul rapporto tra sguardo filmico, regime dello spettacolo e la produzione di mitologie contemporanee. Così nell’elegante opera di Fiona Tan, Saint Sebastian, lo schermo si sdoppia per offrire diverse prospettive non solo spaziali, ma anche temporali, sullo svolgersi di un’antica cerimonia rituale, in uno sguardo su una femminilità eterea e insieme carica di tensione.

La storia contemporanea si legge in filigrana in molti dei video esposti: William Kentridge porta avanti la questione della segregazione razziale durante l’apartheid con l’animazione in stop-motion History of the Main Complaint del 1996. Per la serie di film Cabaret Crusades, l’artista egiziano Wael Shawky rilegge le Crociate da un’ottica musulmana, trasformando la narrazione in uno spettacolo musicale di marionette grottesche. L’ampia rassegna di videoinstallazioni comprende anche un secondo lavoro di Shirin Neshat, che racconta della condizione delle donne sotto una teocrazia dittatoriale e il loro ambiguo essere state allo stesso tempo protagoniste e vittime della rivoluzione khomeinista. L’11 Settembre raccontato da Hans-Peter Feldmann in 9/12 Front Page, del 2001 appunto, fissa nella memoria attraverso le prime pagine di quotidiani del 12 settembre 2001, quando in tutto il mondo fu diffusa la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle, riflettendo sul rapporto tra realtà e la sua rappresentazione. Lo sguardo umano sulla natura, mediato da cliché culturali e dall’apparato tecnologico dello spettacolo, è al centro delle opere di Doug Aitken e di Ragnar Kjartansson, i cui scenari immersivi sono visioni poetiche che tuttavia espongono il carattere artificioso delle idee di natura e paesaggio. The End – Rocky Mountains (2009) di Kjartansson è un concerto suddiviso in cinque grandi scene con solo due protagonisti che suonano strumenti differenti immersi nella natura, alternativamente matrigna insensibile durante una tormenta o benigna dispensatrice di sole in un’amena vallata. Le diverse scene, unite, creano un concerto-percorso alla ricerca del sublime romantico, in una sfida ai limiti della resistenza umana, con cui Kjartansson s’interroga, come spesso nei suoi lavori, sul confine tra arte e vita.

Ragnar Kjartansson, The End – Rocky Mountains, 2009. Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Uscendo dai sotterranei della Strozzina, ci si ritrova nel cortile esterno al centro del quale è fermo l’imponente razzo di Goshka Macuga che punta alle stelle in attesa di essere sparato nell’universo. Gonogo è però senza motore, ancorato al terreno in un’ambigua staticità. Il razzo di Macuga ci parla anche del nostro momento storico e della caducità della condizione umana al tempo dell’onda lunga post-pandemica, con i cambiamenti provocati e le incertezze lasciate, in uno scenario inquietante di disastri ambientali che stanno mettendo in dubbio la possibilità per gli esseri umani di continuare a vivere sulla Terra. «Una domanda di fondo sottende una mostra su una delle più importanti raccolte europee di arte contemporanea – scrive Galansino in chiusura del suo testo in catalogo – come fa un collezionista a puntare alle stelle? La storia di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo può essere d’ispirazione per cercare, nei cieli dell’arte, una risposta a questo impossibile interrogativo. Una grande collezione si forma grazie a una irrefrenabile passione, seguendo le proprie intuizioni, spinti da una pantagruelica curiosità, oltre che, ovviamente, dalla propria cultura e dal proprio gusto. Una collezione è fatta di scoperte e anticipazioni, ma è anche frutto di errori, occasioni mancate e può comprendere qualche assenza ingombrante. L’universo dell’arte è infinito e ogni velleità di completezza resterà disattesa anche dal più instancabile esploratore spaziale; importante è che sia chiara la rotta».

Goshka Macuga, Gonogo, 2023, Reaching for the stars, exhibition view at Palazzo Strozzi, 2023, Firenze © Ela Bialkowska OKNO studio