L’ultima provocazione di Arco Madrid, un Picasso morto tra gli stand della fiera

La 42esima edizione della fiera si chiude con qualche scandalo e fa arrabbiare le associazioni femministe. Vi raccontiamo i dettagli

La 42ª edizione di Arco Madrid, aperta fino al 26 febbraio, ha regalato quest’anno scaldali e sorprese. Alla guida della fiera, Maribel López che ha riunito per la rassegna spagnola 211 gallerie provenienti da 36 Paesi, di cui 170 nel programma generale. Il 66% degli stand sono stranieri. Si tratta di un’ulteriore spinta all’internazionalizzazione di questo evento che ha sempre più un carattere mitteleuropeo.

Arco è una fiera ben articolata, ben configurata anche se il mercato che meglio funziona è quello rivolto agli acquirenti stranieri. Intorno ad Arco non c’è nessuna biennale, nessun museo satellite, nessuna istituzione culturale: Arco probabilmente funziona perché si mostra al pubblico esattamente per quello che è: un momento di scambi commerciali.

Anche quest’anno, però, come ogni anno, ha portato con sé le sue polemiche, in particolare, come riporta il giornale spagnolo El Mundo, la decisione di Maribel López di eliminare il programma “Proyectos de Artista”, specificamente dedicato negli ultimi due anni a opere di donne. Questa decisione ha allarmato l’Asociación Mujeres de las Artes Audiovisuales (MAV), che in un rapporto ha rivelato che solo il 19% degli artisti presenti ad Arco quest’anno erano donne.

Si è gridato allo scandalo per l’opera esposta dalla galleria ADN di Barcellona: Aquí murió Picasso (Qui è morto Picasso). Alla maniera di Maurizio Cattelan, il suo autore, Eugenio Merino, colloca su un basamento una figura reclinata in resina che è un ritratto post mortem di Picasso vestito come Picasso: maglietta a righe blu, pantaloni di lino, espadrillas. Merino ha spiegato in diverse interviste riportate durante la fiera come la scultura sia stata ispirata dal libro di Dean MacCannell del 1976, The Tourist, in cui l’autore mette in campo le ricerche scientifiche sociali sul turismo nell’era postindustriale. «Quest’opera – ha detto Merino – è un oggetto da vendere ma anche da cui estrarre un valore simbolico. Un luogo dove un “consumatore d’arte turistico” può farsi un selfie… un souvenir che ci ricorda che sono stati qui, dove Picasso è morto». E ovviamente è falso come qualsiasi attrazione turistica.