La Biennale di Architettura 2023 che apre le porte al pubblico dal 20 maggio fino al 26 novembre ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera. Il laboratorio del futuro (The Laboratory of the Future) è il titolo della diciottesima Mostra Internazionale di Architettura, diretta da Lesley Lokko, architetta, docente, scrittrice e curatrice e prima donna africana a dirigere la manifestazione dedicata all’architettura a Venezia.
Nel corso della conferenza stampa il Presidente della Biennale Roberto Cicutto, la curatrice e il Direttore del Victoria and Albert Museum Tristram Hunt hanno esposto tutte le novità della 18. Mostra Internazionale di Architettura. Decolonizzazione e Decarbonizzazione i temi principali: grande attenzione sarà dedicata al cambiamento climatico e alla promozione di un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutte le sue attività. Ottenuta nel 2022 la certificazione di neutralità carbonica per tutte le proprie manifestazioni svolte durante l’anno, la Biennale di Architettura 2023 sarà la prima grande Mostra a sperimentare sul campo un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica.
«Un laboratorio del futuro non può prescindere da un punto di partenza preciso – ha dichiarato il Presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto introducendo Lesley Lokko. – La Curatrice parte dal suo continente di origine, l’Africa, per raccontarne tutte le criticità storiche, economiche, climatiche e politiche e per dire a tutti a noi è già successo molto di quanto sta accadendo al resto del mondo. Confrontiamoci per capire dove si è sbagliato finora e come va affrontato il futuro». È un punto di partenza che invoca l’ascolto di fasce di umanità lasciate fuori dal dibattito, e apre a una molteplicità di lingue zittite per molto tempo da quella che si considerava dominante di diritto in un confronto vitale e improcrastinabile.
I partecipanti non si chiameranno architetti ma “pratictioners”: Lokko, preannuncia un cambio di rotta che parte dalla terminologia, dalle idee, dalle visioni che affondano le radici nel suo continente d’origine. «The Laboratory of the Future – ha spiegato Lokko – è una mostra divisa in sei parti. Comprende 89 partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nella sezione Progetti Speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni. Il 46% dei partecipanti considera la formazione come una vera e propria attività professionale e, per la prima volta in assoluto, quasi la metà dei partecipanti proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone. In tutte le sezioni della Mostra, oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da studi gestiti da un singolo o da un team molto ristretto – e ha proseguito – al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina».
The Laboratory of the Future inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di Force Majeure (Forza Maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre – affiancata a quella dei Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre. In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani “practitioner” africani e diasporici, i Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea delle pratiche e delle modalità future di vedere e di stare al mondo. «Abbiamo scelto di qualificare i partecipanti come “practitioner” e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”», per rispecchiare a pieno la situazione africana, un mondo in rapida ibridazione che richiede una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.
Sessantatrè “Partecipazioni Nazionali” organizzeranno le proprie mostre nei Padiglioni ai Giardini (27), all’Arsenale (22) e nel centro storico di Venezia (14). Una novità è rappresentata dalla partecipazione del Niger, mentre il Panama si presenta per la prima volta da solo, nel passato partecipava come I.I.L.A. (Organizzazione Internazionale Italo-latino americana).
Torna la partecipazione della Santa Sede alla Biennale Architettura, con un proprio Padiglione sull’Isola di San Giorgio Maggiore , mentre il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, è curato dal collettivo Fosbury Architecture, formato da Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi.
Per la prima volta in assoluto la Biennale Architettura include la Biennale College Architettura, che si svolgerà dal 25 giugno al 22 luglio 2023. Nel corso di quattro settimane di programma didattico, quindici docenti internazionali lavoreranno con cinquanta tra studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti provenienti da tutto il mondo e selezionati da Lesley Lokko attraverso un processo di open call.
Il programma di The Laboratory of the Future è arricchito dal Carnival, un ciclo di incontri, conferenze, tavole rotonde, film e performance durante i sei mesi di Mostra, volti a esplorare i temi della Biennale Architettura 2023.
«Concepito come uno spazio di liberazione ma anche di spettacolo e intrattenimento – ha spiegato la curatrice – Carnival offre un luogo in cui vengono scambiate, ascoltate, analizzate e ricordate parole, prospettive e opinioni – . Politici, policymakers, poeti, registi, documentaristi, scrittori, attivisti, organizzatori di comunità e intellettuali pubblici condivideranno il palco con architetti, accademici e studenti. Questo programma vuole essere una forma di pratica dell’architettura che tenta di colmare il divario tra gli architetti e il pubblico».