From Palestine with Art: arte come messaggio politico

La mostra, già evento collaterale della Biennale di Venezia 2022, arriva all'Accademia di Belle Arti di Roma fino al 24 febbraio

La storia della Palestina e l’orgoglio del suo popolo ci vengono raccontati dall’arte, attraverso un messaggio universale che non conosce confini. “Se siamo in grado di produrre queste forme di arte, vuol dire che esistiamo come popolo e come cultura”, sembrano dire all’unisono i diciannove artisti che partecipano alla mostra From Palestine with Art, curata dal Palestine Museum US, già evento collaterale della Biennale di Venezia 2022 e adesso visitabile fino al 24 febbraio nell’Aula  Colleoni dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Nadia Irshaid Gilbert, Woman Carries the Weight of our Past and our Future, 2017. Courtesy Nadia Irshaid Gilbert

Osservando le loro opere, un misto di tradizione e modernità, mi si è riproposta una domanda ricorrente sul ruolo della cultura: “È giusto che l’arte venga utilizzata per proporre messaggi politici?”. Roger Waters, fondatore dei mitici Pink Floyd (sarà in Italia il prossimo mese con il suo nuovo tour), impegnato pacifista e in prima fila a difesa della popolazione palestinese, è piuttosto netto al proposito: «È solo stupido pensare di separare l’arte dal messaggio politico». Dall’impegno di Waters contro la guerra sono nate canzoni bellissime e toccanti, come Supremacy che si basa su una poesia del grande poeta palestinese Mahmoud Darwish e che è stata composta dopo che l’ex presidente americano Trump ha deciso di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme.

Nameer Qassim, Enough, 2020. Courtesy the artist

Per mezzo dell’arte, le relazioni tra popoli, culture e territori sopravvivono alla storia. Lo stesso Faisal Saleh, fondatore e direttore del Palestine Museum US, primo museo occidentale palestinese e promotore della collettiva, ha dichiarato che «queste opere d’arte sono necessarie, perché i sionisti stanno tentando di cancellare dal mondo la Palestina e i palestinesi. Dicono che noi non esistiamo. Le opere presentate alla mostra smentiscono questa tesi…la produzione culturale palestinese è transculturale da diversi decenni, continua a crescere e la Palestina esiste ovunque siamo». La direttrice dell’Aba di Roma, Cecilia Casorati, che ha voluto fortemente portare queste opere nella sede della più antica Accademia di Belle Arti italiana, ha sottolineato il senso di questa mostra: comprendere la cultura di un popolo che conosciamo più che altro per la cronaca e gli accadimenti drammatici. «La visione dell’ arte sugli eventi è importantissima, perché è un linguaggio che parla a tutti». 

Jacqueline Bejani, Palestinian portraits, 2022. Courtesy Jacqueline Bejani

Il percorso espositivo, comprende dipinti, fotografie, sculture e installazioni che raccontano la storia palestinese e mettono in evidenza il desiderio di affermare i diritti inalienabili attraverso il linguaggio dell’arte, dando vita a una visione politica. Tra le opere ci sono quelle di Samia Halaby, Venetian Red, realizzata per festeggiare la presenza della Palestina alla Biennale di Venezia e dell’artista Jacqueline Bijan che ha ritratto, alla maniera di Andy Warhol ma con i colori della bandiera palestinese. In Palestinian Portraits, figurano anche il poeta Mahmoud Darwish, la poetessa Fadwa Tuqan e il fratello Ibrahim Tuqan l’ambasciatrice Leila Shahid, le scrittrici Suad El Amiri e Susan Abulhawa, l’attrice e regista Hiam Abbas, e lo scrittore Ghassan Kanafani. A Nabil Anani si deve In Pursuit of Utopia, una raffigurazione pittorica di un passaggio rurale e ad Ibrahim Alazza l’installazione All that Remains, ossia tutto ciò che rimane ai profughi palestinesi sta in una kūfiyya. È di Nameer Qassim invece Enough che si ispira alle danze folkloristiche. Gli artisti utilizzano infatti molti simboli della propria identità. 
La mostra, realizzata in collaborazione con MedArtandCutlure, volge lo sguardo sul presente e immagina il futuro. Mi ha colpita in particolare l’opera fotografica di Rania Matar, Samira, una ragazza palestinese del campo profughi di Burj El Barajneh vicino Beirut. In quest’opera Samira è ritratta nel momento in cui per la prima volta è riuscita ad uscire dal campo profughi in cui è nata, e a tuffarsi in mare per assaporare il senso di libertà. Quest’evento conferma la vocazione internazionale dell’Accademia di Belle Arti di Roma e il suo costante impegno a far comprendere ai propri studenti i fenomeni artistici mondiali, mettendoli in relazione agli sviluppi della storia e dell’attualità. Il filo rosso di questo percorso artistico è il pacifismo, il perseguimento della pace tra i popoli e della risoluzione dei conflitti che insanguinano il Pianeta. La bellezza salverà il mondo. 

Samia Halaby, Venetian Red, 2021. Courtesy of The Palestinian Museum US

FROM PALESTINE WITH ART
Artisti: Karim Abu Shakra, Salman Abu Sitta, Ghassan Abu Laban, Ibrahim Alazza, Mohamed Alhai, Nabil Anani, Hanan Awad, Jacueline Bejani, Sana Farah Bishara, Susan Bushnaq, Lux Eterna, Nadia Irshaid Gilbert, Samia Halaby, Rula Halawani, Samar Hussaini, Mohamed Khalil, Rania Matar, Nameer Qassim, Taqi Sabateen
a cura di Palestine Museum US Woodbridge, CT, USA
fino al 24 febbraio
Accademia di Belle Arti di Roma

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