Tra i più conosciuti e rilevanti fumettisti transalpini, le cui opere “poco accomodanti” non mancano di dividere, creando dibattito tra addetti ai lavori e appassionati (citando il disegnatore e animatore giapponese Osamu Tezuka: «Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti»), Bastien Vivès torna in libreria con un graphic novel da autore unico (nel 2021 ha disegnato Oceano nero, storia inedita di Corto Maltese, scritta da Martin Quenehen e pubblicata in Italia da Cong). Un volume per il quale non si è risparmiato, meritevole di particolare attenzione anche al di fuori del tradizionale circuito.
Edito da Bao publishing, L’ultimo weekend di gennaio (cartonato, 184 pagine in bianco e nero, 22 euro) segue le vicende di un fumettista di mezza età, Denis Choupin, che nell’ultima settimana di gennaio si reca al Festival international de la bande dessinée d’Angoulême, il più importante di Francia e tra i più considerevoli del vecchio continente – rassegna che di recente ha visto alcuni lavori di Vivès al centro di un’aspra quanto sterile polemica, di cui lo stesso artista avrebbe fatto volentieri a meno, e noi con lui – per incontrare i propri colleghi e firmare autografi, dediche e scketch (quando gli chiedono: “Mi disegna Hitler?”, lui risponde: “Sì, ma solo di spalle. Meno lo disegno, meglio è”).
Un lungo fine settimana tutt’altro che caldo e assolato (“com’è il tempo? Fa freddo, è grigio”, si lamenta appena arrivato) che rappresenterà per Denis l’occasione di porre in discussione non solo le proprie abitudini ma anche l’evoluzione che sta assumendo la sua carriera professionale. Tra le dediche, gli incontri con il pubblico e la compagnia dei colleghi, vivrà un batticuore inaspettato che lo riporterà a quando era un “giovane talento” già attenzionato per le sue storie in largo anticipo sui tempi, costantemente in lotta con la sua quotidianità di artigiano del disegno (“sono passato al digitale, almeno vado più veloce, anche se mi bruciano gli occhi”), mentre si misura con un ciclo di nove volumi dedicati alla Seconda guerra mondiale.
L’ultimo weekend di gennaio è un racconto misurato e toccante (splendida l’immagine del nostro che dorme da solo, nella stanza d’albergo, con accanto la custodia con le sue tavole originali), dove non mancano le citazioni (“stiamo parlando di Franquin, suvvia”), incentrato su un uomo tutt’altro che convenzionale (“è da tanto tempo che non entro in una libreria”, affermazione quasi sacrilega per il settore), che scava sotto lo strato di patina del tran tran quotidiano, raccontando con minuzia il dietro le quinte di un festival atteso tutto l’anno (“quindi è così il backstage del mondo dei fumetti”).
Sul suo profilo Instagram, il fumettista, scrittore e regista Roberto Recchioni (curatore di Dylan Dog per Sergio Bonelli editore) ha definito L’ultimo weekend di gennaio – la cui illustrazione di copertina rievoca quella del disco The Freewheelin’ Bob Dylan, secondo album ufficiale del cantautore di Duluth pubblicato esattamente mezzo secolo fa – «un libro meraviglioso, scritto benissimo, disegnato con una sapienza, consapevolezza e naturalezza rara».
E ancora, nel post parla di questo graphic novel come una «storia d’amore e di vita, leggerissima, profondissima e universale. Se siete fumettisti, poi, è uno spaccato di dolorosa e splendida realtà». Sguardo acuto e disilluso, Vivès (nato a Parigi nel 1984, il suo esordio nel mondo dei fumetti è avvenuto nel 2007) ha l’innata capacità di far recitare e caratterizzare i propri personaggi e possiede un forte uso empatico della colorazione. Senza mai fare sconti, neppure a se stesso (“il fumetto è un’arte per ragazzini, non trovi?”).