Selk’nam, gli indigeni della Terra del fuoco

Una narrazione corale che ripercorre la storia del popolo della Patagonia: l'importanza della memoria contro l'oppressione coloniale

Società di nativi sudamericani che abitarono la Terra del fuoco 12mila anni fa – i cui componenti si spostavano in sintonia, guidati da uomini saggi (“padri del mondo”) – e considerata estinta da quasi un secolo, i Selk’nam sono protagonisti di un graphic novel documentario che, forte di un’indagine accurata su questo popolo scomparso, scandaglia l’inconscio collettivo occidentale.
Sceneggiato da Carlos Reyes e disegnato da Rodrigo Elgueta, il volume a fumetti Noi, i Selk’nam (Edicola edizioni, 160 pagine in bianco e nero, 20 euro) è il racconto di una vicenda («storia di una resistenza», recita il sottotitolo) che valica il conosciuto fino a questo momento.

Ad oggi, infatti, si sa solo che i Selk’nam sono estinti, si pittavano il corpo e sono in vendita pupazzi e souvenir con le loro effigi (tradotto: l’immagine e la cultura vengono ampiamente sfruttate a fini commerciali e turistici). E mentre in tanti parlano di altezze fuori dal comune e profonde intelligenze spirituali, altri rammentano una vicenda di deportazione ed esposizione all’interno degli zoo umani del vecchio continente. Da parte loro, gli autori hanno invece deciso di percorrere una strada meno battuta, narrando una storia ben più sfuggente, per nulla didascalica, al di fuori di qualsiasi canonicità. Certo, ben radicata nel mistero, ma familiare con la violenza, sostanzialmente umana. Senza filtri. 

«Gli Ona – che in realtà si chiamavano Selk’nam – sono stati una razza simile a quella umana, sostenevano gli scopritori. Simile, ma non uguale», spiegava Patricio Manns, cantautore, poeta, scrittore e giornalista cileno scomparso poco più di un anno fa. Già, oggetto fin dal principio delle fantasie dei primi esploratori europei, che ravvisarono in loro esseri all’intersezione tra regno umano, animale e spirituale, e che fecero della Patagonia una terra gloriosa popolata di creature incredibili, questo popolo subì poi l’oppressione coloniale e la segregazione, la cancellazione culturale e sociale per mano degli evangelizzatori. Una storia sì affascinante, ma non semplice da accettare nella sua crudeltà. E che è ben lontana dal chiudersi: oggi infatti i discendenti lottano (come è giusto che sia) per mantenere viva l’attenzione nei confronti di un popolo libero, sterminato dall’ingordigia degli uomini occidentali.
Nel graphic novel Noi, i Selk’nam, la sfida di Elgueta (insegnante di storia dell’arte, disegnatore di fumetti e illustratore) e Reyes (sceneggiatore, editore, esperto di comunicazioni audiovisive e docente) è quella di muoversi in bilico, senza cadere in facili retoriche, tra finzione e realtà: apparendo loro stessi tra i personaggi del fumetto (tra le cui pagine il lettore può conoscere l’origine di uno spirito con le corna, denominato Halaháches dalle donne e Kótaix dagli uomini, figura che campeggia anche sull’immagine di copertina), conducono un dialogo diretto e costante con il lettore. 

E ancora, intervistano una serie di persone che si sono approcciate (con cognizione di causa) all’argomento, ognuna dal proprio settore di riferimento: filosofia, musica, poesia, teatro, danza. Ad emergere è una narrazione corale, nella quale ciascuno offre il suo contributo: non solo antropologi, ma anche esploratori e artisti. Testimonianze che procedono ben focalizzate e convergono in un immaginario collettivo, sposando il pensiero di Italo Calvino secondo cui «il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi». E a fare da sfondo, tutt’altro che marginale, l’interrogarsi su quella che è stata (ed è) la coscienza occidentale, sull’importanza della memoria e dell’identità da coltivare e preservare.

Info: www.edicolaed.com

Articoli correlati