Per il secondo anno consecutivo il Museo delle Mura, sabato 19 novembre, fa da cornice all’opening capitolino dedicato alla selezione di artisti premiati dal Talent Prize, consolidato riconoscimento che negli anni è riuscito a intuire alcune delle più interessanti ricerche artistiche in Italia. Incastonato nelle mura Aureliane, all’interno di Porta San Sebastiano, il museo permette di aprire un dialogo tra il patrimonio classico e l’offerta contemporanea, dando spazio quest’anno a una nuova serie di opere organizzate in un percorso espositivo capace di far interrogare lo spettatore sull’odierna concezione di autorialità.
La vincitrice dell’edizione 2022 del Talent Prize, Simona Andrioletti, presenta un’opera video composta a sua volta, come in un collage digitale, di altri video raccolti sul web. Defence. What do you do with your anger? è un lavoro che colpisce per il coinvolgimento che riesce a innescare nello spettatore: le situazioni di pericolo e disagio in cui si trovano immersi gli individui ritratti nelle immagini che lo compongono, attivano una sensazione di impotenza che immobilizza e che riesce a far sprofondare in un totale senso di sopraffazione.
Sulla stessa linea di redifinizione del concetto di autorialità si muove anche Leonardo Magrelli che con il suo lavoro West of Here lascia gli spettatori perdersi nel dubbio. Cosa è reale e cosa è finzione? Una serie di screenshot raccolti dai giocatori del videogame GTA5 presentano un paesaggio urbano capace di ingannare l’occhio e lasciarlo immerso nell’indecisione del giudizio se ciò che si sta osservando appartiene al mondo reale o virtuale.
L’esigenza di creare connessioni tra mondi continua, virando però in direzioni completamente diverse. Il terzo classificato del premio, Gioele Pomante, presenta Con Affetto, Gioele, un video che riprende la sua performance nel cimitero del paese di Picciano (PE) che sconquassa il silenzio riservato ai defunti che placidamente vi riposano. Il pubblico immaginario riporta alla mente l’impassibile e invisibile platea che nell’era digitale spesso ci si para innanzi e con la quale ci si spinge a desiderare un contatto tra la dimensione individuale e collettiva.
Conclusa la presentazione del podio si passa agli artisti finalisti: Alessandra Cecchini, Federica Di Pietrantonio, Valentina Perazzini, Catalin Pislaru, Davide Sgambaro, Fabio Ranzolin e Marco Emmanuele. Le opere in mostra continuano nella stessa direzione dei primi tre premiati: l’esigenza di delegare l’autorialità del lavoro a un soggetto esterno al corpo e alla mente del creatore è dominante, evidenziando le molteplici possibilità che la tecnologia mette oggi a disposizione. La certezza diventa sfuggente in un momento storico in cui ci si trova ad avere come non mai gli strumenti necessari per ottenere, col minimo sforzo, le informazioni di cui sentiamo il bisogno su qualsiasi campo di interesse.
In quel senso di offuscatezza ci accompagna ancora la tavola sagomata di Marco Emmanuele, Un raggio giallo, che crea un immaginario sempre al limite tra il concreto e l’astratto dando forma a visioni inedite, corporee e incorporee allo stesso momento. Proprio in questa fumosità sta l’arte, instancabile produttrice di interrogativi che non cercano necessariamente soluzione, piuttosto invece ragionano sulla forza delle perdita di punti di riferimento saldi. L’inquietudine ci appare all’orizzonte come l’unico traguardo possibile come ben viene manifestato nell’installazione but i wanna keep my head above water di Federica Di Pietrantonio che ci immerge in una dimensione virtuale ispirata al videogame The Sims. Anche attraverso lo scherno si innesca il cortocircuito che provoca il disorientamento dello spettatore, ne è una dimostrazione l’opera Postcards are always from somewhere else di Alessandra Cecchini, l’espositore di cartoline, oggetto immancabile nel bookshop di ogni museo, mette in risalto il concetto di assenza di originalità, un elemento ormai apparentemente sostituibile in qualsiasi aspetto della nostra esistenza. La degenerazione del mondo contemporaneo e la perdita delle identità valoriali del presente viene metaforicamente rappresentata nel lavoro di Valentina Perazzini, Quand, che si esprime nella perdita di consistenza di palloncini gonfiati a elio e quindi lasciati “appassire” sul pavimento dopo essere stati forati dagli aculei di una pianta grassa.
La dimensione umana rimane sempre più in bilico, si rifugia nella comfort zone dopo essere stata messa all’angolo dalle insorgenze del veloce futuro in cui è incappata. Il rifugio prende le sembianze di un acquario, un nido sicuro e immodificabile, omologato per definizione perché uguale per tutti. Questo concetto si traduce nell’opera Billy’s lost books dell’artista moldavo Catalin Pislaru che riconosce nella celebre libreria IKEA Billy, simbolo dell’assenza di identità e totale omologazione a cui oggi siamo troppo spesso piegati. La distruzione identitaria è anche al centro del lavoro proposto da Davide Sgambaro, I push a finger into my eyes (kiss, kick, kiss) che lascia le sue sculture vittima di esplosioni pirotecniche. La soluzione a tutto questo? L’illusione, il rifugio nostalgico nel passato, servito da Fabio Ranzolin con Sweat pours like applause VI, un lavoro che rievoca l’idealizzazione della stagione del clubbing anni ’90, oggi diventata mito per la generazione dei poco più che giovani millennials.
Si apre quindi la parentesi dedicata ai premi speciali: il Premio Speciale Emmanuele F.M. Emanuele viene consegnato quest’anno a Giulia Berra con l’opera Senza Titolo, lavoro che gioca sul dualismo trappola/nido; una sorta di cornucopia di legno, si torce, ritrae e protende aggressiva nello spazio, coperta di spine d’acacia come aculei di un animale pronto a rivoltarsi. Giovanni Coppelli vince invece il Premio Fondazione Cultura e Arte/Emergenti che viene omaggiato per la sua opera Pescheria, un esempio di pittura capace di fondere insieme tradizione e innovazione. Il Premio Fondazione Cultura e Arte/Internazionale viene consegnato al duo Grossi Maglioni per l’opera Beast Mother Plateau, esposta alla Kunsthalle di Bratislava nel 2021 che trova il loro fulcro nel concetto della maternità. La maternità e cura, simbiosi, legame indissolubile, trasformazione, attraversa la storia del Mondo sia nelle sue implicazioni amorevoli e positive che in quelle angoscianti e spaventose. Il concetto di cura torna anche con Nuvola Ravera premiata per la performance Peeling Agency –The fun they had, un delicato e tagliente lavoro che si prende cura delle “spoglie” del mondo contemporaneo.
A Teresa Giannico, per l’opera Portrait of a guy on red canvas (You will return, you will return series) viene infine consegnato il Premio Speciale Inside Art, capace di creare una sintesi perfetta tra tutte le ricerche e i lavori che in quest’esposizione vengono presentati. La forza dell’ibridazione tra reale e digitale sprigiona ancora una volta la speranza e il desiderio verso ciò che conosciamo e riconosciamo ma viviamo costantemente nel dubbio che possa trattarsi di una finzione magistralmente realizzata dall’artificio.
Info: talentprize.it