Antonio Capaldo, presidente dell’azienda vitivinicola campana, tra le eccellenze italiane, racconta come l’arte sia divenuto uno strumento di inclusione sociale e volano per creare profondo spirito di appartenenza.
Arrivando sul vostro sito mi ha colpito il modo in cui viene esaltata l’arte e la simmetria con il processo di creazione del vino, quando è cominciato l’interesse verso l’arte e com’è stato declinato?
«Il rapporto tra vino e arte non è qualcosa che abbiamo inventato noi. Il fatto che nella produzione vitivinicola ci sia una componente artistica e quasi mistica ce lo tramandano i Greci, gli Etruschi. Per noi in Feudi c’è sempre stato un legame molto forte nello spirito della creazione, che si esprime in un legame connaturato nell’idea della bellezza. Bellezza intesa in senso non soltanto estetico, ma intesa nel senso più ampio, la bellezza del paesaggio, della comunità, del territorio. Un valore profondamente condiviso e vissuto anche dai nostri collaboratori.
Il primo approccio all’arte è passato attraverso l’architettura della cantina, che è stata ristrutturata da un architetto giapponese in modo che fosse un luogo bello e facilmente visitabile, un luogo dove si potesse lavorare, bere e vivere.
Un altro passaggio è arrivato con le etichette disegnate da un designer importante, che prendevano vita dai mosaici di Galla Placidia, che erano l’arte contemporanea all’epoca di Gregorio Magno, a cui l’azienda si ispira.
Nel 2013 una concomitanza di diversi fattori ha fatto in modo che ci avviassimo verso un percorso legato al contemporaneo. In primis perché l’arte è bellezza ed è stato lo strumento che ci ha permesso di riportare i ragazzi che lavorano per noi al centro della scena, perché sono loro i creatori. Il vero fattore scatenante, oltre alla passione che abbiamo sia io che mia moglie per l’arte, è stata l’esperienza di padre Paolo Antonio Loffredo, che nel 2014 creò una Fondazione per portare avanti i progetti di riqualificazione sociale nel quartiere Sanità di Napoli, di cui si occupava già da diversi anni, invitando artisti del calibro di Palladino, Jodice ad intervenire sulla basilica del quartiere.
Un lavoro bellissimo che colpì profondamente la nostra sensibilità e che ci diede la spinta a cominciare questo percorso, non con la logica del collezionismo ma con la logica di dare il nostro contributo alla Fondazione di padre Antonio di cui siamo tra i soci fondatori. Gli artisti vengono invitati in azienda, studiano e vivono il luogo per il tempo necessario, e successivamente producono un ‘opera che rimane permanente in azienda. Per ogni progetto d’arte viene prodotta un’etichetta, un‘edizione del vino a tiratura limitata tra i 1000 e 2000 esemplari, i cui proventi vanno interamente alla Fondazione di padre Loffredo.
La logica è l’arricchimento culturale dell’azienda, l’arricchimento per chi lavora per noi e il sostegno, attraverso la cultura, del nostro territorio e della nostra comunità.
Chi è stato il primo artista che avete scelto?
Il primo è stato Mimmo Jodice, dopo un lungo corteggiamento siamo riusciti a invitarlo da noi nel 2014. Nella prima lettera che gli scrissi mi disse molto cortesemente che non avrebbe più lavorato per le aziende, perché era molto impegnato nella preparazione della sua grande mostra che avrebbe poi presentato al MADRE a breve. Riuscimmo a convincerlo e nella stessa serata di apertura della mostra presentammo anche la bottiglia a lui dedicata. Mimmo, uomo di una visione e sensibilità rara, trascorse venti giorni da noi in azienda, e si innamorò delle vigne, fece una ventina di scatti poetici che raccontavano in maniera sublime il nostro paesaggio. Non si concentrò sulle fotografie delle persone, ormai aveva smesso da tempo di ritrarre i volti, ma ritrasse dei luoghi estremamente evocative per le nostre persone, che li vedevano protagonisti nel processo di creazione del vino.
E adesso sono visibili in azienda?
Questi scatti sono visibili proprio all’ingresso dell’azienda. Le opere sono strettamente integrate nel percorso di visita. L’artista sceglie anche il luogo dove le opere vengono esposte. La cantina è proprio la custode dei lavori di questi artisti e visitarla è un’esperienza immersiva nel vino e nell’arte.
E dopo l’esperienza di Jodice come è continuato il progetto?
Mimmo Jodice è stato il maestro di tanti artisti italiani e, su suo suggerimento, invitammo poi alcuni suoi allievi. Nel 2015 tenemmo un workshop con diversi artisti, nel 2016 invitammo il duo campano Vedovamazzei, che reinterpretarono una loro opera che si chiamava proprio Colature, che rimanda in questo caso alla scia che lascia il vino nel bicchiere, un‘ opera pittorica che più che rappresentare il nostro territorio racconta il loro personale rapporto con il vino.
Nel 2018 è stato l’anno di Marinella Senatore, che ha realizzato per noi degli acquarelli bellissimi in bianco e nero, un omaggio all’ architettura originale della cantina, prima della ristrutturazione, ritrovando le vecchie e poche fotografie di come era all’epoca lo spazio.
L’ultimo artista è stato Pietro Ruffo, che io e mia moglie conosciamo personalmente e al quale ci lega una profonda amicizia. Lo invitammo in azienda nel 2019 ma tra la pandemia e i suoi impegni siamo riusciti a presentare solo quest’anno il suo lavoro. Pietro è colui che più degli altri è riuscito nell’intento di portare le persone al centro. Durante il soggiorno da noi, ha dapprima realizzato delle fotografie delle nostre persone, che sono servite per abbozzare i ritratti a biro raffiguranti la grande famiglia dei Feudi di San Gregorio. Questi disegni che raccontano il ciclo di produzione del vino, e rimandano ai ritmi della terra, sono stati riportati su un’anfora, storico recipiente del vino ma che un tempo era usata anche per veicolare dei messaggi, una sorte di lettera che raccontava storie. Il colore della biro, con le alte temperature necessarie per creare l’anfora, è divenuto rosso, come il nostro vino. Questo lavoro ha davvero creato un forte senso di appartenenza per tutti i nostri ragazzi. Per la bottiglia invece ha fatto un lavoro che riprende la sua ricerca sulle costellazioni rivestendo la bottiglia di disegni che raffigurano la volta celeste.
E avete già pensato a chi sarà il prossimo?
Abbiamo scelto di invitare i Fallen Fruit, duo californiano, che lavora con immaginari potentissimi. Siamo molto attenti ai temi della sostenibilità, dell’ambiente e abbiamo da poco installato un orto in azienda, quindi cercavamo artisti che lavorassero sul mondo vegetale e che fossero spudoratamente gioiosi dopo questi anni cupi.
Ci siamo innamorati di loro e hanno accettato l’invito perché abbiamo dato loro totale libertà di intervento su una casa, recentemente ristrutturata e che diventerà il nostro wine resort. Il risultato ci ha lasciato davvero senza parole, hanno dato totalmente voce alla loro creatività sfidando ogni regola cromatica. Non vediamo l’ora di presentare il risultato al pubblico il prossimo anno.
Siete molto attenti al tema della sostenibilità tanto da essere divenuti Società Benefit. Cosa significa?
L’Arte è uno strumento che è servito per parlare anche dell’aspetto della sostenibilità. Abbiamo ottenuto da poco la certificazione B Corp, di cui siamo molto orgogliosi, perché è molto difficile da ottenere che impatta sullo statuto dell’azienda. È un percorso in linea con l’arte, sempre con lo stesso principio di ridare indietro alla comunità.