Clouds Never Say Hello: le nuvole di Gabriele Picco nel cielo di Brescia 

L’artista lombardo è protagonista di una nuova grande personale nella storica cornice del Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino nella città di Brescia

Le nuvole, di pasoliniana memoria, simbolo di leggerezza, di sospensione e di poesia, sono un tema ricorrente nel lavoro di Gabriele Picco e protagoniste della nuova esposizione personale dell’artista Clouds Never Day Hello. Visibili e presenti sia nella storia dell’arte che nella vita di tutti giorni, al contempo così impalpabili ed evanescenti, rappresentano metaforicamente l’ambiguità e la contraddizione che regnano nell’immaginario dell’autore bresciano.

The wall, 2022 (dettaglio), stanza ricoperta da 18mila biscotti savoiardi, dimensione ambientale

Picco riesce ad affrontare con leggerezza temi delicati come la morte, il sesso, la solitudine dell’uomo contemporaneo, mettendo spesso in luce le contraddizioni della nostra società, e mostrando come la vita e il mondo siano un immenso teatro visionario.  

In mostra c’è The wall, la stanza le cui pareti sono state completamente ricoperte da 18mila biscotti savoiardi, un intervento dell’artista che modifica la percezione sensoriale dello spazio e che insieme segna l’accesso al nucleo centrale della mostra. Una sala di decompressione ricca di reminiscenze infantili, via di evasione fiabesca non priva però di elementi sinistri, implicito al muro è infatti il riferimento all’incomunicabilità e a tutti quei muri che ancora abitano il mondo.

Due delle sale della mostra di Gabriele Picco sono dedicate proprio alle nuvole. In una le ritroviamo sul portapacchi di modelli in scala di auto storiche del secondo Novecento. Sono le automobili diventate vere e proprie icone, come la Dyane o la Citroen DS, che fanno seguito alla prima opera di questa serie intitolata Cloud, che Picco realizzò nel 2005 con una vera Fiat 500 come scultura permanente nel Parco delle Madonie in Sicilia.

Nell’altra sala lo spettatore incontrerà, sospese a mezz’aria, quelle che potrebbero essere descritte come cinque piccole poesie. Nuvole di vari colori scolpite in marmi diversi, dal nero portoro, al bianco statuario di Carrara, al blu Bahia, al rosa del Portogallo fino alla pietra dorata. Su ogni nuvola scorgerà, in un sottile rimando alla pittura tonale, un piccolo volatile imbalsamato dello stesso colore della roccia, che porta nel becco un biglietto dei biscotti della fortuna, con la tipica frase profetica, divinatoria o sibillina. Qui lievità e gravità si incontrano creando un ossimoro visivo e concettuale. 

In una terza sala si trova Il collezionista di amore: un omino in marmo rosa del Portogallo il cui lunghissimo fallo è ornato da anelli con diverse pietre preziose. La sessualità esplicita trattata con linguaggio iperbolico, sia verbale che visivo, è tra i temi ricorrenti nel lessico dell’artista che fonde elementi Pop con quelli della scultura classica. A seguire una lapide in granito nero che commemora una nuvola svanita. La poesia e l’ironia tagliente, che a volte sfiora un cinico sarcasmo, è una delle modalità con cui Picco affronta nelle sue opere argomenti complessi e delicati come la vita e la morte, il pubblico e il privato, la religione e i tabù, senza lesinare riferimenti all’attualità, come nel caso di Fido, un cagnolino in terracotta che porta in bocca una copia del Corriere della sera del marzo 2020, con in evidenza il titolo in prima pagina Ora è chiusa tutta l’Italia.

Fido, 2022, creta, carta, inchiostro, 10 x5x3 cm

Nella sala più grande i visitatori sono accolti da un’installazione parietale di nove metri per quattro: una carta da parati composta da disegni che tagliano trasversalmente tutta la sua produzione in un cortocircuito continuo tra parole e immagini. 

La scrittura, sia quella breve di natura quasi poetica che gioca con il linguaggio scarno e ficcante dello slogan pubblicitario, sia quella più verbosa, automatica, che si colloca tra il flusso di coscienza e la letteratura d’avanguardia, è un altro tratto distintivo del modus operandi di Picco che, come uno dei personaggi dei suoi romanzi, vede la vita e le esperienze che la attraversano come un grande teatro surreale. 

Surreale è anche l’opera Eternal love: due mani in lattice che sbucano da una parete, con i palmi attraversati dai gambi di due rose rosse i cui vasi poggiano su due mensole di legno grezzo. Un chiaro riferimento a Eros e Thanatos in una nuova forma contemporanea di crocifissione.

Nell’ultima sala la dimensione onirica trova la sua rappresentazione in una scultura composta da un letto di legno antico, dal cui materasso si innalza un albero dai rami spogli, abitati da un solitario canarino rosso. L’immagine, che richiama l’idea della nascita, della morte e del sogno, diventa anche metafora per Gabriele Picco della solitudine e della capacità dell’essere umano di rinascere costantemente.

Gabriele Picco, Clouds Never Say Hello
a cura di Claudio Musso
7 luglio – 18 settembre 2022
Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino, via dei Musei 30, Brescia

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