Alla base degli Art Hotel c’è l’idea del bello. Tra mura che sussurrano una storia o in contesti dall’architettura ipercontemporanea, vengono inglobati dalle città questi spazi che hanno come fine quello di accogliere ma che costituiscono una realtà molto più complessa di un semplice albergo. Sono luoghi in cui si edificano esperienze, atmosfere nelle quali la contaminazione artistica permea nelle pareti, diventa parte dell’arredamento, apparato culturale per chi soggiorna o di chi anche soltanto passa, getta uno sguardo su questo paesaggio, contestualizzato e al contempo inaspettato.
In tempo di Biennale, gli spazi veneziani deputati all’arte e non solo si animano di eventi e iniziative d’eccellenza. Il St.Regis, storico hotel in laguna, da sempre si pone come obiettivo quello di coniugare l’accoglienza di uno spazio attento al design e all’arredo e l’amore per l’arte, attivando collaborazioni con curatori e artisti di respiro internazionale. Patrizia Hofer, direttrice della struttura dal 2020, ha in mente una linea ben precisa per il St.Regis: un approccio fresco, non troppo formale ma preciso e attento. Il tutto accompagnato da un motto: Allow Us.
St. Regis è tra gli alberghi più iconici di Venezia, quale è la vostra storia e come si lega alla città di oggi?
«Venezia nel 14esimo secolo era il centro più importante al mondo per l’economia, le arti e gli artisti, come Tintoretto e molti altri The St. Regis Venice si propone di rievocare quei tempi dando vita ad appuntamenti con gli esponenti della scena artistica mondiale, curando eventi aperti ai veneziani ed ai viaggiatori globali come degli Arts Talks e vernissage alla presenza di artisti».
Che aggettivi usereste per definire il vostro concetto di ospitalità?
«Il nostro style è lifestyle – residential, contemporaneo ma allo stesso tempo caloroso. Un servizio elegante, fresco, non troppo formale ma sempre preciso e attento. Il motto del brand St. Regis è Allow us, che definisce bene l’approccio che proponiamo ai nostri ospiti».
Veniamo al rapporto col mondo dell’arte: avete gia’ o state costruendo una collezione permanente creata appositamente per l’hotel?
«Il nostro obiettivo è quello di sviluppare partnership uniche con i migliori curatori d’arte ed esperti, come Adriano Berengo con Ai Weiwei, Tony Craig, Jaume Plensa, Erwin Wurm che hanno firmato opere d’arte che sono state o sono tuttora esposte in hotel. La nostra resident curator Gisela Winkelhofer ha fatto in modo che The St. Regis Venice ospiti pezzi unici di Julian Opie, Rosa Brueckel/Gregor Schmoll e Gregor Hildebrandt».
Una delle suite più esclusive è dedicata a Monet, a cosa è dovuta questa scelta e come siete riusciti ad unire ospitalità e mondo dell’arte?
«Nell’autunno del 1908, l’illustre pittore impressionista Claude Monet, ospite dell’hotel, trasse l’ispirazione dalla spettacolare vista di cui si gode dall’albergo, catturarando nei suoi dipinti il passaggio della luce sul Canal Grande. Vere residenze d’artista, le Monet Suites sono intrise di spirito poetico. Il design degli interni, chiaramente ispirato agli acquerelli del pittore impressionista francese Claude Monet, esalta la morbida e calda luce veneziana che ha attratto gli artisti a Venezia nel corso dei secoli. Elementi centrali nei salotti delle suite sono i dipinti commissionati a Olivier Masmonteil, che analizzano e celebrano la maestria di Monet nel catturare la luce speciale di Venezia e riflettere altri due elementi iconici quali la serialità e colori, capisaldi della pittura impressionista.
Eleganti e accoglienti, e allo stesso tempo traboccanti di richiami artistici, le due Monet Suites, che si trovano nel palazzo Badoer Tiepolo, occupano una posizione privilegiata in prima fila con finestre direttamente affacciate sul Canal Grande, mentre all’interno specchi veneziani strategicamente collocati alle pareti riprendono ed amplificano la vista e la bellezza dell’esterno. Tra gli arredi, il design unico del divano dell’ampio soggiorno trae ispirazione dalla vista dall’alto sulla laguna, mentre la forma dei braccioli delle sedie del tavolo da pranzo che può essere comodamente apparecchiato per quattro, si ispira alla forcola della gondola e i tappeti decorati in stile “pennellata” sono un rimando ai tipici colpi di pennello sulla tela realizzati da Monet e alle increspature dell’acqua sul Canal Grande. Anche i campanelli richiamano quelli che si incontrano nelle calli veneziane e le modanature delle porte rimandano ai percorsi sinuosi della città. A completare il fascino residenziale delle suite una libreria retroilluminata che sfoggia una selezione curata di oggetti d’arte in vetro di Berengo Studios, una scultura dell’artista contemporaneo Massimiliano Pelletti, libri di arte e letteratura veneziana, uno scrittoio, un angolo bar riccamente fornito e un set da cocktail».
All’interno degli spazi dell’hotel ci sono tanti rimandi al genio di Carlo Scarpa, in che modo viene raccontato al pubblico il suo lavoro?
«Poco tempo fa abbiamo lanciato Uncovering Carlo Scarpa with the St. Regis Venice, un progetto per conoscere la figura dell’architetto d’avanguardia nato a Venezia, in continuità con i rinnovati interni dell’hotel che gli rendono omaggio. A disposizione degli ospiti, sei interviste con altrettanti architetti, storici dell’arte, curatori e accademici, abbinate a percorsi studiati ad hoc che si snodano tra le calli di Venezia, per scoprire la miriade di sfaccettature che rendono immediatamente riconoscibile l’architettura di Scarpa».
Anche la tradizione artigiana della lavorazione del vetro di Murano viene glorificata all’interno dell’hotel con diverse mostre ed iniziative, ci puoi dire di più a riguardo?
«Dopo il completo restauro durato due anni che ha riportato all’originale splendore lo storico Grand Hotel Britannia, aperto per la prima volta nel 1895 – lo stesso anno in cui fu inaugurata la Biennale di Venezia, dal 2019 The St. Regis Venice accoglie i viaggiatori e gli appassionati d’arte in visita a Venezia. La tradizione veneziana della lavorazione del vetro prende vita, celebrata attraverso una partnership con Adriano Berengo e Glasstress. La collaborazione è stata in grado di unire l’arte contemporanea e le tecniche storiche di soffiatura del vetro, invitando artisti di varie discipline e di livello mondiale a collaborare con i maestri vetrai di Murano per creare opere d’arte in vetro uniche nel loro genere. Molti di questi capolavori sono stati o sono ora in mostra al The St. Regis Venice».
Quali attività avete organizzato durante quest’ultima Biennale?
«A pochi giorni dall’opening della Biennale abbiamo avuto il grande onore di installare la scultura realizzata in vetro e su misura per il nostro Gran Salone dell’artista Ai Weiwei, che ad una prima occhiata sembra un lampadario “normale” ma nasconde tra le gocce di vetro dei rimandi precisi a dei concetti centrali dell’opera dell’artista. Quattro grandi sculture in alluminio della serie Venice Runners di Julian Opie sono state collocate all’aperto su una delle terrazze dell’hotel e sono tutt’ora visibili dal Canal Grande. Ancora nelle aree comuni limitrofe al nostro Grand Salone si è tenuta anche una live performance curata da Gisela Winkelhofer dove un ballerino indossava un abito realizzato Esther Stocker che completa le opere dell’artista esposte in hotel».
Ci puoi raccontare qualcosa dell’ultima collaborazione con l’artista Ai Weiwei nel Gran Salone?
«White Chandelier, realizzato in cristallo iridato, è stato creato dall’artista Ai Weiwei come omaggio a Venezia per celebrare i 1600 anni di storia della città. Una palla di luce, composta da grandi rami di vetro che si attorcigliano in grandi archi l’uno intorno all’altro, l’opera d’arte si snoda e riformula la struttura tradizionale del lampadario veneziano, presentando un’opera unica, realizzata a mano in collaborazione con i maestri artigiani di Berengo Studio in Vetro di Murano. Attraverso il lampadario, Ai Weiwei esplora l’immaginario visivo tradizionale dei lampadari in vetro veneziano e si propone di reinterpretare questa tradizione storica usando il suo personale e unico linguaggio visivo. Come sempre, l’artista ci coglie di sorpresa: ad un esame più attento il fogliame e i delicati fiori dell’esterno barocco del lampadario lasciano il posto a una serie di ospiti, oggetti e creature inaspettati che sbucano tra le foglie con ferocia contemporanea. Un paio di manette penzolano da un ramo, dei granchi si arrampicano su fiori e foglie che sbocciano lussureggianti, una mano isolata alza un dito in segno di protesta. Per coloro che conoscono le opere di Ai Weiwei, questi oggetti diventano veri e propri indizi, simboli e riferimenti ai lavori iconici dell’artista. La provocatoria mano al potere balza fuori come una chiara eco alla famosa serie fotografica di Ai Weiwei “Study of Perspective”, prodotta tra il 1995 e il 2017, dove l’artista ha fotografato la propria mano con il dito medio alzato davanti a monumenti e luoghi di potere e prestigio in tutto il mondo. I granchi fanno riferimento alle migliaia di granchi di fiume di porcellana che affollavano l’installazione del 2010 intitolata “He Xie”, un sinonimo di armonia e una frase usata spesso dal governo cinese, ma che – secondo le fonti – era anche un termine gergale per la censura di internet. In questo modo, il lampadario di Ai Weiwei racchiude al suo interno una complessa rete di idee e forme, un intreccio di riferimenti e connotazioni artistiche che caratterizzano l’intera opera dell’artista contemporaneo. Il risultato è un’opera d’arte che il pubblico può ammirare e riscoprire ad ogni nuova visita».