Fino alla fine della notte, una riflessione sul Padiglione Italia alla Biennale di Venezia

L'imponente lavoro di Gian Maria Tosatti, con la curatela di Eugenio Viola, al Padiglione italiano analizzato nella sua dimensione poetica e nei suoi variegati riferimenti al cinema e alla letteratura

Un prologo e due atti. La polvere e il mare. Macerie di un passato che fu e lampi di speranza nell’oscurità. Si potrebbe racchiudere in brevi parole chiave il progetto di Gian Maria Tosatti per il Padiglione Italia alla Biennale d’Arte 2022 e, nello stesso momento, non avere abbastanza spazio per descriverlo nella sua complessità. Perché la grande macchina teatrale presentata al pubblico riunisce, come sempre sa fare l’artista, “le dimensioni dell’essere, le dimensioni fisiche e la dimensione dell’esperienza”.

I luoghi si fanno portatori di memorie e narratori di storie, che stimolano in chi vi si approccia, attraverso la persistenza dell’olfatto, la poesia dei suoni e la magia della luce, riflessioni oscillanti dalla dimensione personale a quella globale e collettiva.

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Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

A cura di Eugenio Viola, l’opera Storia della Notte e Destino delle Comete si presenta come un congegno esperienziale dall’impostazione teatrale articolato in un prologo e due atti. La prima parte restituisce un paesaggio industriale in rovina, in cui la presenza umana è svanita. Si possono solo intravedere alcune tracce lasciate dal brulicante passaggio dell’uomo, che da Ragusa a Cremona ha saputo unire e rendere omogeneo il paesaggio e, con esso, le speranze di una Nazione.

L’invito a percorrere lo spazio in solitaria e in silenzio mostra la strada per sentire con tutti i sensi quello che i muri e le macchine abbandonate vogliono raccontare. La timbratrice porta a compiere una processione lenta, a vestire i passi di chi, in passato, ha calpestato quei pavimenti. 

La luce ambrata che attraversa le vetrate a piccoli quadrati piombati e che si posa sui carrelli e sui rulli impolverati della prima stanza, ricorda quasi un sogno decadente. La musica in sottofondo maschera una malinconia persistente. L’atmosfera è di completa sospensione. 

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Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Il cammino prosegue in un interno domestico la cui finestra centrale affaccia su un laboratorio tessile immobile. L’ombra di un crocifisso, un telefono silente, la rete di un letto come uniche tracce di un direttore (o di un custode) di quel lavoro. Pare di scorgere, in questo capitolo, un riferimento al cinema, da Schindler’s List al più recente L’amica Geniale e di immaginare le teste di quelle lavoratrici, chine sulla macchina da cucire, ogni tanto alzarsi incuriosite dallo scontamento delle tende.

Non c’è più la luce calda dell’ingresso, ma una luce fredda, verdognola, che esprime potentemente la discendenza della parabola produttiva del sogno italiano. Si esce da quello stanzone senza parole e, con passo rallentato, la piece teatrale volge al suo secondo atto. Poi: buio. 

Nella seconda parte, il Destino delle Comete, l’immaginario si ribalta in una vera e propria visione. Un molo punta direttamente al mare. Un mare scuro, spaventoso e impetuoso. In uno scenario del genere, che spegne ogni speranza, una luce spunta all’orizzonte: uno sciame di centinaia di lucciole riprende il suo dominio per ripristinare la sua crudele legge di suprema bellezza e armonia, rovesciando la desolazione iniziale in compassione struggente. 

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Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

“Darei l’intera Montedison per una lucciola”, scriveva Pier Paolo Pasolini nella chiusura dell’articolo Il vuoto del potere in Italia (Corriere della Sera il 1° febbraio 1975) traina il pensiero dell’artista alla base di questo ultimo atto ed esprime quello che è sempre stato il suo modus operandi, ricco di riferimenti letterari, arti visive, teatro, performance. 

Uscendo da quello che è il vero significato del lavoro e viaggiando liberamente con il pensiero, quel mare innalza al vento le urla di chi lo attraversa, quel mare, e spera di trovare delle luci di scialuppe all’orizzonte. E, per usare le parole del curatore Eugenio Viola «forse, le flebili luci delle lucciole sono l’unica cosa che possa condurci alla fine della notte».

Info: https://www.labiennale.org/it

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