HyperGallo, Giuseppe Gallo racconta l’ultima scultura realizzata tra le dune di Ansedonia

Massimo Belli dialoga con l'artista Giuseppe Gallo sul suo ultimo lavoro, I giocolieri dell’armonia, concepito per la rassegna Hypermaremma

Dialogo di Massimo Belli con Giuseppe Gallo sul suo ultimo lavoro: ‘I giocolieri dell’armonia’, scultura realizzata per Hypermaremma presso le dune di Ansedonia

Manifestazione culturale ormai giunta alla sua quarta edizione, Hypermaremma nasce dall’iniziativa dei galleristi Carlo Pratis, Giorgio Galotti e del collezionista e manager Matteo D’Aloja con l’obiettivo di far dialogare il territorio maremmano con l’arte contemporanea in maniera sostenibile e futuribile.  Chiave di volta del progetto è, da ormai diversi anni, il cortocircuito innescato dall’incontro fra i tempi compassati della vita della bassa Maremma e l’iperattività tipica di un presente rapido e mutevole, espresso attraverso iniziative culturali di ogni genere: opere d’arte, installazioni, esibizioni, performance.

L’apertura di questa nuova edizione di Hypermaremma è affidata alle sapienti mani di Giuseppe Gallo – figura rilevante del panorama artistico contemporaneo e già membro del Gruppo di San Lorenzo, con sede nell’ex-pastificio Cerere – che per l’occasione ha realizzato una processione di dodici eterogenee figure in acciaio Corten alte oltre quattro metri e disposte di fronte alla lingua di mare che bagna le dune di Ansedonia.

I giocolieri dell’armonia diventa così punto di partenza di un viaggio straordinario dell’arte all’interno del territorio toscano.

Giuseppe Gallo, I giocolieri dell’armonia. Veduta dell’installazione presso la spiaggia della Tagliata di Ansedonia
Courtesy l’artista e Hypermaremma

mb Ho studiato a fondo il tuo lavoro Giuseppe, ho preso diversi appunti ma mi piacerebbe partire da ciò che ho visto. Queste dodici figure, I giocolieri dell’armonia, mi ricordano dei danzatori, dei filosofi[1], dei saltimbanchi adornati di simboli che vengono dal tuo lavoro: le mani, il toro, il gallo per l’appunto. Sono personaggi che poggiano sul piano del reale oppure è più un gruppo di figure allegoriche?

gg È una serie di figure che io non riesco a possedere, che ha vissuto cambiamenti enormi. Mentre ci lavoravo, per esempio, ho deciso di inserire queste gambe/zampe ai personaggi con l’idea che l’artista, l’intellettuale, l’uomo in generale debba conservare la sua parte animalesca. Una cosa che invece non è mai cambiata è la loro postura, con le braccia che ci sono ma non sono in opera. Questa scelta stilistica aiuta l’idea di processione, un’idea che mi è piaciuta sin da subito per il legame col mare, perché se mi lascio andare all’immaginazione posso vedere figure tutte diverse, uomini e donne da diversi luoghi e da diverse epoche. A volte chi fa il mio lavoro ragiona troppo e si lascia poco andare a ciò che sente, che immagina. Allora ecco che questi uomini e donne io li immagino nel deserto, dove il capofila avrebbe la fortuna di bere l’acqua per primo; ma se fossero in una guerra? Sarebbe il primo a rischiare. In questo modo la numerazione perde significato, e così anche l’ordine delle figure, che non hanno una gerarchia ben precisa ma condividono questa fila ordinata che i protagonisti rispettano con umiltà.

mb L’importanza del mare viene immediatamente fuori nella sagoma che su di esso ricavano le tue figure. So che è un rapporto che hai fortemente voluto: quando ti è stato proposto di realizzare la scultura hai messo come unico veto che fosse installata a ridosso del mare. Mi vengono allora in mente Le città invisibili di Italo Calvino, un capolavoro di letteratura combinatoria, che conserva una serie di spunti incredibili. Fra questi penso alle ultime righe del racconto dedicato alla città di Despina[2]. «Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone».
Cosa nasce, allora, in opposizione a queste dodici sagome?

gg Beh, prima di tutto queste figure avevano bisogno di un orizzonte. Il mare ne dà uno netto, in continuo movimento; poi è anche un affare personale perché, pur non essendo un tipo “marino”, io sento di volermi riavvicinare al mare in questo momento della vita; inoltre stimola l’immaginario: navigare, cambiare, andare altrove e anche essere in un’area di limes fra il mare e la terra. L’altro giorno il mare era mosso e mi ha dato così tanta energia…

mb Mi fai venire in mente una frase che scrivesti per Danilo Eccher nel catalogo della tua mostra personale al MACRO di Roma del 2007-2008[3] Giuseppe Gallo. All In, quando dicevi di desiderare che le tue opere fossero in grado di ammaliare un antico greco, un romano, un sumero, un egiziano; a mio parere quest’opera incarna molto questa aspirazione. Immagina una nave di duemila anni fa che attracca su quella porzione di spiaggia e vede questa danza di genìe.

gg Per me il dialogo col tempo, passato, presente e futuro, è fondamentale, l’arte contemporanea non sempre lo possiede. Prendi i monocromi di Rothko, quelle sono opere valide ancora oggi, lo sarebbero state anche prima di lui e lo saranno nel futuro. Io l’uomo lo vedo contemporaneamente sia nel passato che nel futuro. La mia prima mostra si chiamava Giovanni Bellini, ti racconta molto su questo tipo di impostazione del lavoro; ho amato molto la scuola ferrarese, ma anche Antonello da Messina: le sue opere più piccole sono in grado di reggerti una parete intera, perché c’è lo “sguardo”, non del momento ma lo sguardo verso gli dèi, verso l’eternità. È quello che ha provato a fare Gino (De Dominicis), ma non è stato capito fino in fondo.

mb Non credo sia casuale che le sagome abbiano le teste inclinate nell’atto di pensare, in una posa tipica del filosofo greco e in apparente dicotomia col piede puntato a terra che simula l’inizio di una danza. Sono figure che nella tua carriera ti seguono da sempre, dalla prima metà degli anni Ottanta.

gg È vero. Nel primo quadro in cui utilizzai questa figura grattai con un chiodo la sagoma sulla tela in maniera quasi spontanea. Ho cercato questa figura a lungo nell’iconografia, che è ricca di personaggi in processione, non ritrovandola ho perso la memoria di come mi sia giunta fra le mani; è una figura che ormai m’appartiene. Queste teste, che potrebbero sembrare piegate in maniera arrendevole, in realtà stanno riflettendo, prendono tempo e mostrano la loro dignità di fronte alla storia.

Giuseppe Gallo, I giocolieri dell’armonia. Veduta dell’installazione presso la spiaggia della Tagliata di Ansedonia
Courtesy l’artista e Hypermaremma

mb Il senso del tempo che hanno queste figure mi fa venire in mente una tua mostra del 2004 mito-rito-sito[4] che, già nel titolo, ripercorre la commistione fra racconto, sacralità dell’arte e importanza del luogo in cui viene realizzata o esposta l’opera. Giocolieri dell’armonia mi sembra calzare perfettamente in tutte e tre queste definizioni. Sembra un concetto molto lontano dall’idea rapida e travolgente del contemporaneo di oggi.

gg Parlo proprio di quello stesso concetto di continuità fra storia, opera e tempo quando penso ai giocolieri. Oggi, invece, c’è una velocità di sguardo e un consumo di immagini che mi fa riflettere. Vige un atteggiamento un po’ a metà fra possedere l’opera e scavalcarla, superarla perché la si pensa di conoscere già. E’ un momento di pigrizia dello sguardo.

mb La Maremma è un territorio molto ruvido e controverso: feudo militare spagnolo all’interno dello Stato dei Presìdi – a lungo bersaglio della pirateria – poi terra paludosa bonificata lungo tutta la prima metà del Novecento fino alla riforma agraria degli anni Cinquanta e oggi territorio in rapida riscoperta sia nell’entroterra che nella costa: quanto è importante che questo tuo lavoro si inserisca nel progetto che Hypermaremma ha pensato per queste terre?

gg Ho provato piacere a vedere chi lavorava, i curiosi, chi vedeva l’opera e cominciava a familiarizzarci. Ci sono cose nel mio lavoro che arrivano al momento giusto, con naturalezza: questo lavoro è una di quelle. Nel progetto Hypermaremma vedo un’Italia che ha voglia di fare le cose a costo di superare ostacoli difficili, per un fatto culturale, potrei dire “di DNA”. Ho amato molto come hanno lavorato, come sono vicini a questo territorio. Questi luoghi dell’arte sono la nostra forza per controbilanciare l’iper-professionismo un po’ “anglosassone” di chi si occupa di arte guardando “al di fuori”. Io credo che il processo sia inverso: quando una persona è capace di toccare le corde di se stesso, di cercare la musica dentro di sé e non fuori, secondo me in quel momento diventa pittore, scultore, incisore… è lì che si fa la battaglia. L’arte nasce sempre da questi bisogni e dal confronto all’interno di un clima culturale florido, che crea personalità forti. Oltretutto è stato bello vedere giovani, che, anche se non sembra, sono coloro che comandano, perché il giudizio su ciò che facciamo spetterà in ultimo a loro.

mb Parafrasando una delle tue serie di lavori più note: Gallo è ancora pazzo?

gg In realtà diventare pazzo è più un’aspirazione.  Mi piacque molto la filosofia di Tommaso Campanella, che evitò di fare la fine di Giordano Bruno fingendosi pazzo; poi lessi a lungo il libro di Marco Cavallo sui manicomi[5]. Nelle culture africane i pazzi erano i diversi in senso positivo, venivano rispettati. I giullari anche, erano gli unici che potevano dire qualsiasi cosa al re evitando la forca. Mi piacerebbe essere uno di quei pazzi sani che non vedono i bisogni della vita, le cose più volgari, che riescono a poetare senza sentire altre necessità. Forse non ci sono ancora riuscito, forse sono ancora lontano. Il pazzo si affoga nel suo lavoro, e io nel mio mi ci sono affogato in diversi momenti, ma poi come forma di autodifesa ho sempre recuperato il distacco. Magari facevo un quadro, andavo a dormire pensando di essere bravissimo e, quando mi risvegliavo, lo cancellavo. Mi auguro di non averti qui quando riuscirò ad impazzire [ride]….


[1] G. Gallo, Amorous Journey: Sculpture, 1986-2004, a cura di G. Carandente, Spin, Roma 2004, pp. 74-87, in occasione della mostra realizzata a Spoleto, Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto, 26 giugno – 26 settembre 2004

[2] I. Calvino, Le Città invisibili, Oscar Mondadori Libri, Cles 2021, p. 18

[3] G. Gallo, Giuseppe Gallo. All In a cura di D. Eccher, Mondadori Electa, Milano 2007, in occasione della mostra realizzata a Roma, MACRO, 16 novembre 2007 – 3 febbraio 2008

[4] G. Gallo, Giuseppe Gallo, mito-rito-sito, a cura di R. Lauter e M. D’Argenzio, Galleria Dello Scudo, Verona 2005, in occasione della mostra realizzata a Verona, Galleria Dello Scudo 30 aprile – 30 giugno 2005

[5] M. Cavallo, Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura, Alpha & Beta, Alto Adige 2018

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