
Inaugurata nel 1974, la bolognese Arte Fiera è la più longeva tra le rassegne fieristiche nazionali, anticipando di un ventennio sia Artissima (1994) che Miart (1995). Pur nell’atmosfera di incertezza generalizzata dovuta all’emergenza pandemica, la kermesse bolognese è stata indubbiamente la vittima prescelta dal virus, il bersaglio su cui accanirsi con maggior forza. Lasciatasi alle spalle l’edizione dello scorso anno – sostituita dal progetto online Playlist – Arte Fiera aveva progettato il suo ritorno in presenza per la fine di gennaio. Un ritorno, purtroppo, bruscamente interrotto dalla variante Omicron e dalla risalita dei contagi nel periodo immediatamente precedente alle date prescelte (21-23 gennaio). Apertura slittata a venerdì 13 maggio, quindi – 12 per la preview stampa – e porte aperte al pubblico fino a domenica 15, data che segna, come di consueto, anche la fine della settimana d’arte bolognese (ArtCity, la cui partenza è prevista per sabato 7 maggio). Tra un comprensibile desiderio di ripartenza, conferme illustri e l’introduzione di alcune novità di assoluto rilievo, molte sono le aspettative su ArteFiera, così come molti sono i temi al centro del dibattito attorno a una kermesse che, nell’anno del “ritorno all’ordine”, si preannuncia particolarmente ricca di opportunità e di occasioni di riflessione: ne abbiamo parlato con Simone Menegoi, curatore, critico d’arte e dal 2019 direttore artistico della rassegna bolognese.
Negli ultimi due anni, la fortuna della rassegna bolognese è stata inevitabilmente indirizzata dalle contromisure governative in risposta all’emergenza pandemica. Se il 2021 è stato l’anno di Playlist, progetto online ideato e concepito in sostituzione della kermesse in presenza, il 2022, che verrà in ogni caso ricordato come l’anno del ritorno alla “normalità”, non è stato risparmiato da battute d’arresto e rallentamenti. L’insorgere della pandemia ha in qualche modo fatto emergere la necessità di modifiche al modello fieristico tradizionale? Com’è cambiato il volto delle fiere?
«Onestamente, non mi sembra che la pandemia abbia cambiato le fiere in modo profondo e irreversibile. Certo, gli esperimenti di fiere online del 2020, dal successo complessivamente limitato, hanno lasciato in eredità una maggiore cura dell’offerta sul web; ad esempio, Arte Fiera, che nel marzo del 2020 aveva varato la rubrica online In Galleria (uno spazio dedicato alle mostre nelle gallerie private, in quel momento inaccessibili) ha trasformato quel primo esperimento in una presenza costante sul proprio sito. E va registrato un fisiologico (e probabilmente temporaneo) ripiegamento di molte fiere sulla base di gallerie e pubblico del proprio paese, dovuto alle restrizioni ai viaggi internazionali. A parte questo, non vedo cambiamenti radicali».

Non solo il covid ha segnato in maniera irrimediabile la nostra quotidianità. Il conflitto russo-ucraino ha inevitabilmente comportato delle ricadute sul mondo della cultura. In questo senso, il sistema dell’arte ha dato una risposta forte, tagliando fuori i buyers russi dal giro del collezionismo. In che misura una simile estromissione avrà effetti sul circuito delle vendite?
«Per il momento, è difficile valutarlo in modo preciso. Mi limito a notare che Arte Fiera ha una base collezionistica in gran parte italiana, e che l’impatto della mancanza di collezionisti russi, per quel che ci riguarda, sarà quindi molto limitato».
Mentre molte fiere, come miart, hanno confermato quest’anno la loro vocazione internazionale, Arte Fiera mantiene un forte accento sull’arte italiana come elemento distintivo. È questo il suo vero punto di forza? Ultimamente si parla molto di come l’arte italiana contemporanea sia poco conosciuta all’estero e di quanto manchi una critica sull’arte dell’ultimo trentennio. Da cosa pensa possa derivare questa mancanza?
«Sì, penso che l’italianità – come tratto prevalente, beninteso, non esclusivo – sia ancora il tratto distintivo di Arte Fiera e il suo punto di forza. L’arte italiana è un patrimonio straordinario, i cui valori di mercato, soprattutto per quanto riguarda gli artisti storicizzati, sono ancora, con poche eccezioni, ampiamente inferiori a quelli dell’arte di altri paesi occidentali dello stesso periodo. Questo divario è ingiusto, e va colmato; ma, al momento, è anche una ghiotta opportunità per i collezionisti, italiani o stranieri che siano. E io non perdo occasione di ricordarglielo. I motivi per cui l’arte italiana è poco nota all’estero sono tanti. A livello politico e istituzionale, negli ultimi 30-40 anni il nostro Paese ha creduto alla propria arte in modo tiepido e intermittente. Le cose, comunque, stanno cambiando. L’Italian Council sta dando un contributo notevole in questo senso».
Sin dalla sua nomina, la sua direzione si è contraddistinta per il forte taglio curatoriale, dall’introduzione delle sezioni – Focus, Pittura XXI, Fotografia e immagini in movimento – all’approccio “minimalista” suggerito ai galleristi. Nel 2020, dopo un iniziale scetticismo, un sondaggio condotto da BolognaFiere ha visto il 75% dei galleristi partecipanti in accordo con la linea da lei dettata. Alla luce di tali considerazioni, pensa che il modello ArteFiera possa fare scuola?
«Avendo aperto nel 1974, Arte Fiera ha già fatto ampiamente scuola: è stata il modello di molte altre fiere, non solo in Italia. Quando ne ho preso la direzione era forte dal punto di vista del mercato, ma mi sembrava mancasse di quell’impronta curatoriale che oggi viene considerata indispensabile per ogni fiera con delle ambizioni più che locali. Non mi riferisco al programma di eventi in fiera e in città ma, appunto, alla selezione delle gallerie e degli artisti che un curatore può fare, e che porta un preciso valore aggiunto alla parte commerciale della manifestazione. Sono grato ai galleristi che espongono ad Arte Fiera per aver capito, e apprezzato, questa strategia. Per quanto riguarda le sezioni, toccano tre ambiti vitali per Arte Fiera: la fotografia (un medium trasversale e democratico, adatto a una fiera popolare come quella di Bologna), l’arte italiana storicizzata (vero e proprio core business di AF), la pittura contemporanea (amatissima, ma a cui nessuna fiera aveva ancora dedicato una sezione specializzata)».

Quest’anno a curare la sezione Focus c’è Marco Meneguzzo, Davide Ferri per Pittura XXI e il team della piattaforma Fantom per Fotografia e immagini in movimento. Al di là delle individualità e delle differenze strutturali tra i media selezionati (pittura, video, fotografia), c’è un trait d’union, una sensibilità comune nei loro progetti?
«Le sezioni sono profondamente diverse per contenuto, criteri, struttura, e fatico a compararle. C’è però senz’altro una cosa che i curatori hanno in comune: la capacità di raggiungere un equilibrio soddisfacente fra la loro visione curatoriale e le esigenze commerciali delle gallerie (e della fiera stessa). So per esperienza diretta che è un compito difficile, che richiede duttilità, pazienza e strategia. E mi sembra che tutti i curatori, in modo diverso, abbiano dimostrato ampiamente di possedere queste qualità».
L’edizione di quest’anno vede anche l’ingresso in fiera del Trust per l’Arte Contemporanea, uno strumento nato nel 2020 e pensato per contribuire al posizionamento della città di Bologna come una delle capitali del contemporaneo. Un ruolo di primo piano è assunto dal MAMbo che, nella persona del direttore Lorenzo Balbi, è anche in prima linea per l’organizzazione di ArtCity. Con l’entrata del Trust, ArteFiera compie un ulteriore passo in avanti per la realizzazione di un sistema artistico cittadino integrato e sinergico. Quali sono i progetti per il futuro? Ha in mente ulteriori strategie per ampliare e rendere più efficiente l’hub culturale bolognese?
«Fin dal mio arrivo a Bologna, io e Lorenzo Balbi ci siamo trovati in totale sintonia circa l’obiettivo di rendere la Bologna del contemporaneo più coesa e compatta; non semplicemente un insieme di (validi) attori – istituzioni pubbliche e private, curatori e artisti, collezionisti e appassionati – ma una scena, un tutto superiore, per visibilità e importanza, alla somma delle parti. Il Trust (che è agli inizi, e che ci auguriamo possa crescere molto, coinvolgendo altri sostenitori in città) è un risultato importante, che va ad aggiungersi a quelli già conseguiti finora. C’è ancora un ampio margine di crescita, comunque, sia nel coordinamento di ciò che già esiste, sia nella creazione di nuove opportunità. Balbi e io stiamo lavorando di concerto in questo senso. Dovreste vedere alcune novità a riguardo nel 2023, ma le annunceremo a tempo debito».

Arte Fiera
13-15 maggio 2022
info: www.artefiera.it