DA INSIDE ART #121
Pittura di spiriti e apparizioni: a volte metafore, a volte arcani
Perdersi nei blu di Prussia di una dimensione astrale, nell’intensità avvolgente dei paesaggi magmatici di Dario Caratta. Delle figure, talmente affusolate da sembrare distorsioni anamorfiche, sono perse in un intrico vorticoso di stati d’animo, di visioni allucinatorie, nella coltre notturna che risveglia i sensi e il delirio psichico. Un crepuscolo della razionalità, colpi di pennello vividi e fluidi scorrono nelle vene di questi spiriti, facendo sembrare la pittura più reale del reale.
Dario, vuoi parlarci del tuo background, come sei arrivato alla pittura?
«Dipingo e disegno sin da ragazzo. Anche mio padre era un pittore, a livello amatoriale, così per spirito di emu- lazione ho iniziato a dipingere. Durante l’adolescenza è arrivata una maggiore consapevolezza, ho iniziato una sorta di viaggio interiore: quando disegnavo riuscivo a rimodulare delle mancanze. C’era qualcosa nella pittura che mi tutelava. Ho messo a fuoco, e a quel punto mi sono affidato al mio intuito. Commettendo anche molti errori».
Come si è andato formando il tuo linguaggio? «Lentamente, nel tempo. Creavo immagini conturbanti, ma non sapevo definirne i tratti.Alla fine dell’Accademia scelsi di fare una tesi sul perturbante, dopo la lettura del saggio di Freud Das Unheimliche. Mi affascinava molto il modo in cui qualcosa a noi familiare e conosciuta a un certo punto potesse rovesciarsi e mostrare una faccia to- talmente diversa. Mi si aprì un mondo: tutto iniziava ad avere un doppio significato, io stesso per primo».
Si stava creando un alter ego?
«Sì, ma non un vero e proprio alter ego. Mi accorsi che tramite la pittura potevo entrare in contatto con una parte nascosta del mio essere che mi faceva vedere la mia vera essenza, quel lato che non possiede sovrastrutture. Ma non è stato semplice».
In che modalità sei riuscito ad avvicinarti al tuo lato nascosto?
«Chi cerca trova: mi sono immerso completamente nei miei pensieri, senza avere pregiudizi.A un tratto ho capito che la strada si andava delineando, che dovevo continuare a cercare. Continuo tutt’oggi a farlo».
Come se l’arte ti avesse scelto.
«Più che essere scelto credo di aver scelto, ognuno di noi sceglie. Il nostro essere ci dà dei suggerimenti, ma la mag- gior parte delle volte non è facile interpretarli. La quoti- dianità purtroppo è un grande ostacolo e spesso fonte di distrazione. Scegliere di fare arte significa anche andare incontro a un confronto corpo a corpo con il proprio Io».
Attraverso l’espressione pittorica superi l’intralcio delle parole?
«Mi esprimo con le immagini. Dopo la lettura di Jung sono rimasto affascinato da come avesse trovato delle ri- sposte. Parlava di individuazione del sé, sincronicità, sogni, ma paradossalmente in modo molto razionale. Ho iniziato così a pensare che i sogni potevano costituire una risorsa dalla quale attingere, rubare informazioni e suggestioni da immettere nella vita».
Hai cercato di analizzare la dimensione onirica?
«L’analisi dei sogni è molto complessa. Nel rappresentare un sogno in realtà si comunica con tutti, perché gli archetipi di base della nostra società sono uguali e fanno parte del nostro inconscio collettivo. Ovviamente i sogni non hanno una linearità logica, bisogna saper cambiare punto di vista».
Cosa rappresentano i personaggi che animano i tuoi quadri?
«Li concepisco come fossero delle apparizioni. Hanno un duplice significato: sono delle metafore, a volte degli arcani».
Spesso sono monadi solitarie.
«Galleggiano nella dimensione del Sé».
La surrealtà si fonde con la consapevolezza?
«Credo che poche cose siano surreali e misteriose come la creazione delle immagini. Per questo non ho il vezzo di fare quadri originali, voglio raccontare storie, piccoli frammenti di pensiero».
La questione dell’originalità non ti tocca?
«Miro a creare un mio immaginario estetico sul quale ruota una storia in divenire. E come tutte le storie avrà una fine».
Ogni quadro è una sorta di tassello.
«Sì, una grande storia divisa per capitoli che si basano su una ricerca legata al sacro e alla magia. La magia è legata all’ossessione dell’uomo di controllare gli eventi, per questo esiste sempre una sorta di pensiero magico. Oggi il pensiero magico è sostituito dalla scienza. Ma il fine è lo stesso: quello di voler controllare l’entropia che ci circonda. Siamo ossessionati dal controllo ma allo stesso tempo sappiamo che è impossibile poter determinare un dominio totale verso il mondo esterno. Quello che stiamo vivendo con la pandemia ne sottolinea l’ossessione spasmodica. Chi sfugge al controllo è una minaccia. L’antropologo Frazer nel Ramo d’oro si sofferma sulla relazione dei popoli con il soprannaturale. L’uomo si crea dei paracadute alla paura della morte. La magia è legata all’ossessione dell’uomo di controllare gli eventi».
La pittura potenzialmente diventa un medium per controllare gli eventi che ti accadono.
«Con la pittura cerco, al contrario, di rappresentare la perdita del controllo, l’entrare dentro questo universo psichico dove non esistono dettami razionali».
L’arte per te deve veicolare il sociale?
«Dovrebbe trasmettere l’umano. L’arte contemporanea si scontra con una nicchia, non riesce a comunicare con le grandi masse. Non credo nell’arte che si rispecchia nella cronaca, dovrebbe rimanere anarchia, creativa».
Parlaci della nuova avventura nella quale sei coinvolto, SpazioMensa.
«SpazioMensa è nato dall’esigenza di concretizzare delle idee. Stiamo lavorando per creare delle connessioni e stimo, allo stesso tempo, cercando di costruire non solo uno spazio espositivo, ma un luogo nel quale le idee possano trovare un porto dove attraccare».
Info: https://www.dariocarratta.com/
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