AWI e Università Bicocca insieme per presentare la prima indagine dedicata al lavoro nel campo dell’arte contemporanea 

L’autonoma associazione Art Workers Italia rilascia il suo report sullo stato dei lavoratori attivi nel settore dell’arte

L’ultima iniziativa organizzata da Art Workers Italia (AWI) continua a dare i suoi frutti facendo smuovere quel banco di nebbiosa noncuranza che da troppo tempo avvolge i lavoratori operativi nel settore della cultura. Nell’ultimo incontro, organizzato all’interno del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano, oltre ad essere stati presentati due nuovi strumenti utili alla comunità di professionisti – la guida ai compensi minimi e i modelli di contratto per i lavoratori del comparto – affinché diventino sempre più consci dei loro diritti sul proprio posto di lavoro, AWI illustra i risultati emersi dall’indagine effettuata a livello nazionale sulle condizioni lavorative degli degli art workers. 

Il profilo medio dell’art workers italiano
L’indagine svolta da AWI può essere considerata un unicum fino ad oggi, un caso isolato che dimostra la poca attenzione che è stata rivolta verso coloro che sono operativi nel campo dell’arte contemporanea. I dati sono stati raccolti tramite 440 interviste facendo riferimento a un campione di lavoratori nati tra gli anni ‘80 e ‘90, 60,5% donne e 31,5% uomini, a questi va sommato il restante 8% di lavoratori che ha scelto di non identificarsi con un genere esclusivo. Tutti coloro che hanno preso parte al seguente studio sono accomunati dalla precarietà professionale, ormai peculiare in un settore come quello della cultura e in particolare dell’arte contemporanea, e dall’insufficienza di tutele in grado di garantire gli inalienabili diritti di ogni professionista. 

Facciamo il punto su quali siano i dati a nostra disposizione forniti da AWI: l’86% degli art workers ha una laurea magistrale o un grado di formazione superiore in ambito artistico. Il 27,8% ha in curriculum esperienze di studio all’estero. La maggior parte svolge la professione di artista (36,7%), il 14,9% lavora nell’ambito della curatela, il 10,2% in ambito accademico, il 10% nella produzione, il 9,4% nella comunicazione. 

Le “storture del sistema”
Ma parliamo di dati economici, nell’indagine sono state inserite anche le soglie di guadagno a cui si riferiscono i lavoratori del mondo dell’arte contemporanea: quasi la metà degli intervistati ha realizzato nel 2019 – ma il dato non subisce una variazione sostanziale nel 2020 – un reddito inferiore ai 10.000 euro annui. Il 24% dichiara un reddito tra i 10 e i 20.000 euro, mentre solo l’8,4% supera i 30.000 euro annui. 

Più fattori concorrono quindi a spiegare i magri redditi: in particolare, la discontinuità del lavoro e i bassi compensi. Emergono inoltre due storture che in questo ambito sembrano giocare un ruolo molto rilevante: la diffusione del “lavoro gratuito” e deregolamentato e il mancato riconoscimento economico dell’attività lavorativa.

Con la pandemia la situazione è ulteriormente peggiorata, anche se questa non ha agito in maniera omogenea su tutti: se per il 29% degli intervistati il reddito è diminuito, c’è anche un 16% per cui è aumentato. Il calo del reddito in pandemia ha interessato principalmente i più anziani (i giovanissimi hanno in media registrato un miglioramento) e alcune professioni: art writer, operatori museali e tecnici.

«There is no alternative», o forse si?
É ormai chiara l’esigenza di confronto con il mondo della politica e con tutte le istituzioni nazionali con un ruolo nella regolamentazione del mondo del lavoro. Un settore fragile è quello a cui appartengono i lavoratori attivi nel settore dell’arte contemporanea che non può più, e non è nemmeno più disposto, a fare a meno di ciò che in altre realtà è considerato la “normalità”.

Siamo immersi in un mondo fortemente caratterizzato da concetti come fluidità e precarietà, non limitati al solo mondo del lavoro, ma è indispensabile che la ricostruzione di un sistema ormai arrivato al limite tenti di superare lo stadio di critica confusione politica e sociale che ha caratterizzato l’ultimo quarantennio. Margaret Thatcher ha impresso nella storia contemporanea lo statement «There is no alternative», quattro parole in grado di incarnare la cinica e deprimente visione di un mondo occidentale ormai irrimediabilmente schiavo del sistema capitalista e di ogni suo risvolto. Oggi arrivano i primi segnali di cambiamento e in questa storia AWI si sta ritagliando un ruolo tutt’altro che da comparsa.