In viaggio ma non in fuga, la resilienza di Pavlo Makov, che rappresenta il padiglione Ucraina all 59. Biennale di Venezia 

Non è ancora detta l’ultima parola: l’installazione che, secondo i programmi, avrebbe dovuto rappresentare l’Ucraina alla Biennale di Venezia potrebbe ancora arrivare nella Serenissima, nonostante le pericolose condizioni  in cui si sta cercando di portare termine il trasferimento. Pavlo Makof, l’artista selezionato per rappresentare il paese ancora avvinghiato dalla violenta morsa dell’esercito russo, sceglie di non abbandonare l’Ucraina ma non demorde nel tentare di far arrivare la sua arte agli occhi del pubblico della Biennale. Arrivato a Venezia negli ultimi giorni, è oggi impegnato nella fase di supervisione delle operazioni di montaggio e riadattamento della sua opera con gli elementi che sono ancora a sua disposizione.

Pavlo Makof
Pavlo Makof

Un argine contro la violenza

All’inizio della guerra scoppiata alle porte dell’Europa, Kiev non è ancora presa d’assalto dalle forze d’attacco schierate da Vladimir Putin ma la condizione di pericolo in cui vivono i cittadini della capitale ucraina, come anche tutti gli altri abitanti delle regioni sotto attacco, li costringe a rifugiarsi in bunker di fortuna e non uscire dalle proprie abitazioni. I movimenti sono sempre più complessi, nonostante tutto però il desiderio di essere presenti non viene spento neppure dal gelido clima di tensione che continua crescere in ogni regione del paese invaso. 

All’inizio di marzo 2022, con un rischio così alto, si arrestano anche le operazioni necessarie al trasporto degli elementi che compongono l’installazione progettata da Makov per il padiglione Ucraino a Venezia. Per l’occasione l’artista progetta la rielaborazione di una sua scultura cinetica presentata per la prima volta nel 1995, dal titolo The Fountain of Exhaustion. L’idea di presentare questo lavoro nasce dall’applicabilità del suo valore simbolico a quella che è l’attuale condizione ambientale della laguna della città veneta. Questa nasce osservando quel sentiero che, prima della fine del vecchio millennio, l’umanità ha scelto di intraprendere, andando inesorabilmente incontro all’esaurimento delle risorse che la terra ha messo da sempre a disposizione dell’essere umano. 

L’artista ragiona sul fenomeno dell’”acqua alta”, testimonianza dell’incrinarsi dei fragili equilibri che tengono stabile un intero ecosistema. Il progetto però prende una nuova direzione con l’infiammarsi del conflitto russo-ucraino. Dalla riflessione sullo sfruttamento delle risorse naturali si passa alla presa di coscienza dell’esaurimento psicologico che l’umanità sta attraversando in questo nuova fase storica. Come le risorse naturali anche quelle emotive stanno giungendo alla loro saturazione e il popolo ucraino che dal 2014 si pone come argine alla dilagante follia colonialista della Russia non sarà per sempre pronto a reggere questa pressione da solo.  

Rendering dell’istallazione The Fountain of Exhaustion nel Padiglione Ucraina

Tentare il tutto e per tutto

Makov annuncia pubblicamente di voler restare al fianco dell’Ucraina, quel paese che anni prima lo ha accolto, lui, cittadino russo, che con la sua terra natale oggi non ha più alcun contatto. Dopo aver tagliato qualsiasi collegamento con il mercato dell’arte con i musei russi che ospitano le sue opere, l’artista si schiera contro le politiche espansionistiche a danno dei territori limitrofi al Grande Orso Russo. Nonostante le sue resistenze è però costretto a lasciare l’est Europa per l’Austria nell’ultima settimana, racconta ai microfoni di Casa Testori. A Vienna riesce a trovare rifugio per la sua famiglia, di cui fa parte anche l’anziana madre dell’artista di 92 anni. «Portare a termine il padiglione è per me è un dovere- afferma l’artista – ho preso questo impegno e devo portarlo a termine ma dopo il 23 aprile io non so più cosa farò, non ho più una casa, non ho più una terra. Mi propongono di andare in a Firenze , in Danimarca, in Germania ma senza Ucraina non c’e niente per me, a 73 anni ho perso il senso della vita»

Ottenuto il sostegno della Biennale di Venezia però le speranze di portare in Italia la sua installazione continuano ad ardere ostinatamente. «La Biennale di Venezia comunica che sta collaborando e collaborerà in ogni modo con la Partecipazione nazionale dell’Ucraina alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte per favorire la presenza dell’artista e del suo team con la sua opera, alla cui realizzazione è fortemente impegnato nonostante la tragica situazione in Ucraina. La Biennale di Venezia intende manifestare anche in questo modo il suo pieno sostegno a tutto il popolo ucraino e ai suoi artisti, insieme alla ferma condanna dell’inaccettabile aggressione militare messa in atto dalla Russia.»

Pavlo Makov, insieme i curatori che lo stanno continuando a seguire in questa drammatica e resiliente impresa, non accennano ad arrendersi. «No, non sono un pessimista – dice l’artista al Kyiv Independent – Diciamo che sono un ragionevole ottimista». Anche i curatori tengono a sottolineare la loro resistenza e con un post su Instagram dichiarano ufficialmente che il padiglione dell’Ucraina «Sta arrivando a Venezia».