DA INSIDEART #121
Una macchina per disegnare, per estendere lo sguardo, per cercare segni e rituali collettivi
Le Drawing Machine di Marco Emmanuele, Catania, classe 1986, sono dispositivi che l’artista realizza assemblando bracci meccanici in metallo su cui, secondo precisi incastri, la mano del disegnatore si innesta assieme a quella dei partecipanti all’azione. L’opera performativa che coinvolge più soggetti a seconda della complessità del dispositivo, consiste nel seguire una serie di semplici istruzioni fornite dall’individuo-guida che culminano nella realizzazione di un disegno collettivo, risultato di una pratica di ascolto condivisa.
Durante l’operazione messa in atto alla Mole Vanvitelliana di Ancona, ad esempio, Emmanuele proponeva ai partecipanti all’azione, la riscrittura di un verso: “Volendo seriamente ricercare la verità delle cose, non si deve scegliere una scienza particolare, infatti esse sono tutte connesse tra loro e dipendenti l’una dall’altra”. La frase è di Cartesio, ma l’artista sembra avvalersene per sottolineare la natura stessa del suo lavoro che oscilla tra due poli: da un lato c’è la ricerca di una struttura e di un rigore compositivo, elementi forse mutuati dai suoi studi in architettura, dall’altro vi è un continuo tentativo di eludere queste strutture privilegiando l’errore, l’incidente creativo. «Non si tratta di un atto di presunzione – afferma Marco Emmanuele – ma l’umile sforzo di chi, attraverso tentativi ed errori, cerca di sviluppare e perfezionare dei modelli concreti per comprendere una porzione di mondo».
Le Drawing Machine sono il frutto di una continua evoluzione che va dal semplice dispositivo per uso singolo, che l’artista impiega per i propri disegni, a meccanismi più complessi. La Drawing Machine #8, è concepita per relazionarsi con l’intero ambiente espositivo, articolandosi nelle diverse sale in maniera tale che il pubblico, da diverse prospettive, sia in grado di rispondere ai comandi del performer. Si costruisce un dialogo corale che questa volta ingloba anche delle potenzialità espressive dell’architettura stessa.
Se nelle macchine il rapporto tra ritualità e segno appare più evidente, l’operazione è riproposta in maniera più sublimata all’interno dei lavori bidimensionali della serie ISO, il cui titolo allude alla granulosità della pellicola fotografica. In questi, Emmanuele, che preferisce non definirsi pittore, sfrutta le potenzialità del medium pittorico per trasformare elementi ricorrenti in immagini dalla superficie brillante, rese tali dalla peculiarità del materiale: la pasta vitrea. Tale operazione non è nuova al mondo dell’arte, già Tintoretto aveva utilizzato questa tecnica, dissimulandola all’interno degli strati pittorici per dare maggiore risalto ad alcune figure delle sue rappresentazioni e accentuarne il valore sacrale.
Emmanuele sceglie di avvalersi del vetro, e in particolare dei frammenti rinvenuti sulle spiagge, perché attratto dalle infinite possibilità di questo materiale, dedito alle trasformazioni del tempo, testimone dell’attitudine umana alla colonizzazione dei luoghi ma anche componente indissolubile del paesaggio mediterraneo. In un suo taccuino abbandonato su un tavolo da lavoro si legge: “Al mare si può stare fermi per ore, in altri posti stare fermi affatica”.
Questa cosmogonia di suggestioni personali ritorna nella scelta dei soggetti, più riconoscibili nei piccoli formati e via via sempre più accennati nei grandi che sembrano richiamare a una serie di tensioni sottese, talvolta eroticizzate. Donne e tori campeggiano sullo sfondo ma a ricorrere in particolare sono le sagome di bottiglie che nello sguardo dell’autore rievocano la sinuosità dei profili femminili, oggetti di uso quotidiano con i quali si stabiliscono relazioni tanto profonde quanto inconsapevoli: «È come se gli oggetti ci incatenassero ai nostri bisogni – spiega Emmanuele – bisogni che prima erano a un passo da quelli primari, quali la necessità del cibo, il desiderio sessuale» e che oggi appaiono come relazioni effimere, senza referenti, più simili ad atti di fede. Il processo, la ripetizione del segno come del gesto, allora diventano l’occasione per una primitiva riscoperta di questi rapporti, siano essi il frutto di una pratica condivisa, come nel caso delle Drawing Machine, oppure vissuti nell’intimità della propria esperienza.
Questi piccoli rituali quotidiani, tornano anche nei lavori scultori in ceramica dove Emmanuele si avvale di questo materiale per inglobare tracce, frammenti e texture di oggetti, talvolta mantenendone la funzionalità, altre volte privilegiando l’imprevisto. Tutto l’universo creativo dell’artista si muove per addizione e per sottrazione, ricercando ciò che è alla base e al contempo intercettando nuove possibili forme di ancoraggio al reale, creando percorsi mentali inediti, come quando ha immaginato di vedere il profilo dell’Etna nello skyline dell’Alaska.
Info: https://marcoemmanuele.jimdofree.com/