“Mescolare i colori significa per me azzerare il colore, cercare un non colore o meglio un colore altro”. L’intervento di Gianni Pellegrini, pittore trentino, classe 1953, in occasione di un’intervista rilasciata alla rivista “FidaArt” nel 2013, costituisce un buon punto di partenza per indagare la pratica pittorica dell’artista, la cui ultima serie di lavori, le otto tele degli Emersi, è esposta, fino al prossimo 11 marzo, alla sede romana di Galerie Rolando Anselmi in via di Tor Fiorenza. La rassegna, curata da Gianluca Ranzi, conferma il sodalizio di Anselmi con il pittore di Riva del Garda, formatosi al DAMS di Bologna e entrato, su proposta di Aldo Schmid nell’orbita dell’Astrazione Oggettiva (1975). La mostra è in grado di fornire un quadro d’insieme decisamente attendibile circa le modalità operative del pittore, che a più riprese ha affermato di procedere essenzialmente “per cicli”. Le Linee – serie di lavori che ha convinto Schmid a portare il giovane Pellegrini nell’orbita dell’Astrazione Oggettiva (1975) – o ancora le Cadute, i Profili, le Falesie, sono le testimonianze figurative più preziose della pittura di Pellegrini, che si è sempre distinta per una certa ossessione nei confronti di linee, forme e colori, il cui potenziale espressivo veniva sondato con impertinenza sino ad essere portato all’esaurimento.
A una prima fase di fascinazione nei confronti delle tele di Griffa, Verna o Gastini, riuniti nel solco di quella che negli anni Settanta veniva rubricata come “Pittura Analitica” e fondamentali per lo sviluppo del vocabolario formale del giovane Pellegrini, seguì tuttavia un progressivo affrancamento dai rigori teorici del movimento. Comparsa sulla scena nazionale negli anni Settanta, la Pittura Analitica venne presto dimenticata e solo recentemente riabilitata dal dibattito teorico. Al cuore di questa esperienza, priva di una regia critica ed estremamente libera negli esiti individuali, vi era la disamina spietata degli elementi primari del fare pittura. Il colore, la linea, la forma, elementi che costituiscono l’ossatura della pratica pittorica, si offrivano agli artisti come le particelle elementari di una grammatica visiva finalizzata a quello che Argan volle definire “l’ultimo discorso possibile sulla pittura”. Un discorso essenzialmente tautologico, di esuberanze intellettualistiche, nei confronti delle quali, però, Pellegrini ha sempre mantenuto un atteggiamento prudente, estremamente defilato e indirizzato verso un altrove psichico e quasi spirituale, un campo in cui il ventaglio di “possibilità di esperire il reale” si apre a “modi sempre nuovi, diversi, inaspettati”.
La strategia messa in campo da Pellegrini è appunto quella di “azzerare il colore”, privandolo della certezza ottica e portandolo a una rarefazione tale da far emergere i suoi essenziali geometrici solo parzialmente. Questi appaiono timidi, restii a cedere il passo alla piena evidenza di superficie e ancora costretti, seppur solo in parte, in un fondo indifferenziato. Le composizioni di Pellegrini, epifanie inconcluse delle forme, atti di affioramento regolati dalla (de)saturazione tonale, celebrano così la coscienza del distacco: al quadro-diagramma della pittura analitica, dunque, il pittore oppone il quadro-diaframma, una soglia che lascia via libera all’immaginazione, un varco che unisce il qui e ora all’indistinzione un altrove vago e nebuloso che coinvolge nel suo gioco raffinato, assorbendole con delicatezza, anche le stesse pareti.
Gianni Pellegrini. Emersi
A cura di Gianluca Ranzi
Dal 14 gennaio all’11 marzo 2022
Info: rolandoanselmi.com