A Milano Spazio Amato è vittima di sfratto, la triste storia dell’arte che non viene compresa 

Interrotta l'esposizione "Volevo fare una mostra" di Giulio Alvigini e organizzatori costretti ad abbandonare lo spazio. Una storia che sa di sconfitta ma non per i protagonisti della vicenda

Il giovane corner espositivo milanese Spazio Amato annuncia con un comunicato stampa la triste notizia della sua definitiva chiusura nella sede di via Vallarsa 20. Una comunicazione inaspettata che lascia l’amaro in bocca e che mette perfettamente in evidenza le lacune di un pubblico troppo spesso miope verso l’impegno e la fatica che vengono spesi dai giovani professionisti del mondo dell’arte nel perseguire obiettivi che trascendono dalla sfera individuale e abbracciano una dimensione collettiva. 

La vicenda ha inizio il 16 febbraio 2022, con l’inaugurazione della mostra dedicata ai lavori di Giulio Alvigini, alias Make Italian Art Great Again. Il piccolo artist-run space milanese presenta la terza esposizione personale dell’artista, la sua prima nella città meneghina, continuando ad essere fedele al principio da cui l’esperienza di Spazio Amato ha preso il via: il supporto dei giovani talenti.

L’ex studio di Massimo Uberti negli ultimi mesi è stato gestito da Giorgio Bernasconi e Marco Paleari da quali è stato trasformato in uno spazio espositivo in cui gli organizzatori hanno speso tempo ed energia. Un lavoro con un fine alto come quello di creare un luogo d’espressione aperta e inclusiva, dove i giovani artisti in cerca di spazio potessero presentare il loro linguaggio e cimentarsi in esposizioni fondamentali per portare avanti la propria ricerca, va drammaticamente sfumando.

L’eccessiva, e inaspettata, affluenza di pubblico in occasione dell’apertura di Volevo Fare una mostra indispettisce i cittadini residenti che non attendono che poche ore prima di intervenire direttamente e palesare il proprio scontento, accusando gli organizzatori di aver incrinato la piatta tranquillità a cui sono abituati «con un dozzinale festeggiamento all’aperto», afferma Giorgio Bernasconi.

Complice indesiderato della sgradevole vicenda è ancora il timore del contagio, nonostante fosse garantita la contingentazione dell’affluenza all’interno del percorso espositivo e il rispetto delle norme anti covid-19. «Nessuna compiacenza viene dimostrata dagli inquilini dello stabile» affermano gli organizzatori. Il giorno successivo all’inaugurazione infatti l’amministratore del condominio in cui ha sede il locale intima all’organizzazione di Spazio Amato la consegna delle chiavi dello spazio. 

Giulio Alvigini che si confessa con noi espone la sua posizione in questo modo: «Per un piccolo spazio, nella periferia di Milano, avere tutto quella gente è storia: un dato incredibile, raggiunto con una mostra, tra l’altro, simulatoria, dal carattere meta-narrativo che in un momento è diventato paradossalmente realtà. Da un lato mi ritrovo certamente deluso ma dall’altro non posso negare il potenziale mediatico che si nasconde dietro un’occasione come questa. Quello storytelling che mi vede maledetto è coerente con la mia narrativa fatta di gioco, scherno e provocazione».

Quello di spazio amato non è solo un sogno che si sbriciola ma la triste evidenza che il mondo dell’arte non è ancora percepito dal pubblico come il motore di cambiamento che invece sta sempre di più dimostrando di essere, in particolare in un momento di ripartenza come quello di cui siamo oggi protagonisti. 

Nonostante tutto, lo sconforto non è il compagno dei valorosi e infatti è con queste parole che Giorgio Bernasconi apre uno spiraglio di ottimismo: «C’è stata una certa miopia. Ai condomini non sarebbe costato nulla pazientare. La verità è che non è stato creduto nel progetto, non c’e stata voglia di prestare ascolto. Stiamo facendo una bella cosa e sono comunque fiero di dove siamo arrivati. Sono ottimista e sono certo che qualcuno crederà di nuovo in noi. Non ci stiamo fermando, siamo già alla ricerca di una nuova alternativa».