Intervista a Silvia Bigi

La vincitrice del premio UTOPIA al Talent Prize 2021 racconta la sua fotografia e il suo progetto con l'intelligenza artificiale

DA INSIDEART 123

Il linguaggio onirico tradotto in iconografia da un algoritmo offusca il limite tra essere umano e macchina

La ricerca di Silvia Bigi, vincitrice del premio speciale UTOPIA al Talent Prize 2021, nasce da un incontro fortuito. L’artista sperimenta per la prima volta l’Intelligenza Artificiale per soddisfare l’esigenza di prendere le distanze dall’interpretazione di contenuti sensibili come i sogni, creando uno spazio di ricerca casuale, libero da ogni genere di intenzionalità.

L’incontro tra uomo e macchina nasce dal desiderio di cercare una narrazione alternativa, di manifestarsi nell’avvento di una nuova e inedita iconografia carica di imprevedibilità. «La complessità di quest’operazione – spiega Bigi – che lascia davvero molta autonomia alla macchina è sintetizzabile nel termine neurografia, proposto dall’artista digitale Mario Klingermann. Questa parola racchiude il combattimento interno al mezzo artificiale che sintetizza, proprio a partire da questo conflitto, un nuovo linguaggio visivo».

L’utilizzo dell’algoritmo rende possibile all’artista la traduzione di un codice linguistico che viene trasformato nella trascrizione visuale della materia intangibile di cui i sogni sono composti. Parte del processo creativo è proprio l’addestramento della macchina. Attraverso specifici data set, istruiti alla traduzione della parola in immagine, Bigi lascia produrre all’artificio soggetti irrazionali, scollati dalla realtà.


Urtümliches Bild #5, 2020

È proprio in questa incrinatura del reale che si scorge la sintesi che l’artista ricerca. La figura di Carl Gustav Jung è un nodo fondamentale del tentativo dell’artista di processare la materia dei sogni notturni ed è proprio da uno dei padri della psicanalisi che Bigi mutua il termine Urtümliches Bild. L’archetipo è l’elemento che accomuna i sogni di ogni essere umano, di ogni cultura e ceto sociale: Bigi raccoglie e documenta il materiale necessario alla definizione di un archivio onirico che supera qualsiasi soglia temporale. «Nelle pratiche legate all’immagine – afferma Silvia Bigi – è fondamentale l’aspetto della raccolta, qualcosa che può essere riconosciuto come in un vero atto archeologico».

La macchina è sempre stata considerata l’incarnazione dell’infallibilità ma questo pro- cesso trae linfa vitale proprio dall’errore che quest’ultima compie. La riflessione che suggerisce questo paradosso ci porta alla ridefinizione dei ruoli che l’essere umano stesso si è impegnato a determinare «È facile – continua – fermarci all’apparenza. L’essere umano è riconosciuto come perituro e fragile mentre la macchina come entità infallibile ed eterna. In realtà non è così, anche noi umani abbiamo degli aspetti eterni e la macchina dei caratteri fallimentari. Siamo più simili di quanto immaginiamo». Un nuovo immaginario si definisce in un’autonomia che si arresta solo nel momento in cui l’interferenza dell’artista arriva a delinearne il definitivo direzionamento.


Urtümliches Bild #3, 2020

Le immagini nascono dalla traduzione del sogno da parte dell’algoritmo. Queste subiscono poi la selezione dell’artista che con il suo intervento umano rintraccia la sintetizzazione del contenuto lirico e dell’estetica formale utili a dare corpo al superamento della fredda azione della macchina. L’attività di archiviazione, tipica della formazione fotografica, si manifesta in queste ibride composizioni anche attraverso la stratificazione degli stimoli che hanno nel tempo composto il corredo genetico della ricerca artistica di Bigi. Le variegate influenze dell’universo delle arti visive come Taryn Simon, Alfredo Jaar, Teresa Margolles e Adam Broomberg si insinuano in maniera trasversale e producono un linguaggio caleidoscopico capace di portare a un concreto sconfinamento dei canoni della disciplina da cui parte l’attività di Bigi.

L’interpretazione dell’arte fotografica, come una lingua di cui è necessario saper decifrare i caratteri, è il principio del sentiero di espansione da lei intrapreso. Una grammatica della fotografia che viene esplorata e problematizzata nella sua forma più tradizionale si sposta sugli aleatori canoni del possibile. Bigi eredita tale approccio da uno dei maggiori esponenti dell’esplorazione del mezzo fotografico: Thomas Ruff. Come il suo modello, Silvia Bigi non ricerca la riconoscibilità: un dato ricorrente è raramente rintracciabile nella sua indagine artistica e il suo iter creativo non è sottoponibile a un unitario processo di formalizzazione. La sperimentazione continua di Bigi tende a un linguaggio non orientato alla ricerca della perfezione, storicamente legata alla fotografia per la sua identificazione con il mezzo tecnologico, ma a una forma d’arte imperfetta, materica, che proprio per questo è in grado di raggiungere uno stadio di purezza ulteriore, vivo e pulsante.


Il codice (L’albero del latte), 2017

Info: https://www.silviabigi.com/