DA INSIDEART 121
Come è cambiato l’artista dal Medioevo ai primi del Novecento e come si è trasformato a livello sociale e intellettuale il suo ruolo?
Artifex e magister: nei documenti medievali quelli che oggi chiameremmo artisti vengono indicati con questi termini come artigiani. In epoca medievale, infatti, le attività connesse alla macro sfera dell’artifex erano distinte dalle artes liberales, di contenuto scientifico e intellettuale, e inserite invece tra quelle meccaniche. Il magister opera per una progettualità più ampia, corale, al servizio di un committente e soprattutto di una pluralità che include ovviamente singole maestranze.
Un impegno destinato molto spesso alla celebrazione di una sfera divina, visto che le committenze erano per lo più di carattere religioso. “Del Medioevo – ha precisato lo scrittore e saggista Adriano Napoli – abbiamo perduto e dimenticato molto, ciò è vero ma indubbiamente riduttivo. Quanti dei manufatti medievali sono firmati? Pochi, pochissimi. Perché? Forse il committente non gradisce. O forse non rientra affatto nell’orizzonte mentale dell’artista tramandare il suo nome”.
Manca difatti all’artista medievale, in quanto artigiano, un’autonomia intellettuale. L’artista vive nell’anonimia e, solo in rari casi e con molta fortuna, la sua fama viene raggiunta dopo la sua morte. “Egregius Odo magister explerit Metensi fotus in urbe quiescit”, indica ad esempio l’iscrizione postuma di Oddone di Metz, architetto della Cappella Palatina di Aquisgrana, che ben chiarisce come l’operato di questa nascente professione inizi ad acquisire valore e dignità nell’opinione pubblica. Così come sul lato posteriore dell’altare d’oro in Sant’Ambrogio a Milano, l’autoritratto di Vuolvinio “Magister faber” che viene incoronato dal santo patrono della basilica esemplifica la nuova considerazione data all’artista. Siamo ancora nel IX secolo e questi sono casi fortuiti, per certi versi. Nei fatti bisognerà attendere l’XI secolo per poter assistere a uno sviluppo più concreto di questa nuova consapevolezza.
Pensiamo a Buscheto, autore-architetto della cattedrale di Pisa. Siamo nella seconda metà del secolo, la sua tomba viene inclusa nella facciata occidentale dell’edificio, con straordinaria visibilità. Sul finire del secolo Lanfranco a Modena compare quale “ingegnoso, dotto” su un’iscrizione coeva e, contestualmente, compare anche l’esaltazione dello scultore Wiligelmo: “Quanto sis dignus onore claret scultura nunc Wiligelme tua”. Passa il tempo e il ruolo dell’artista acquisisce ulteriori sguardi. In Italia soprattutto, con la nascita dei primi comuni si sviluppa un’attenzione diversa nei confronti dell’artista anche da parte di quella che potremmo definire proto-borghesia. Ed è così che nomi come Cimabue e Giotto vengono finanche citati da Dante nella Divina Commedia e Simone Martini è ritratto in ben due sonetti del Petrarca.
È complesso ripercorrere tutti i cambiamenti storico-sociali che hanno portato all’affermazione del ruolo dell’artista; lo storico dell’arte Enrico Castelnuovo in merito ha scritto pagine fondamentali. Le corporazioni diventano spazi indispensabili per l’organizzazione del lavoro e, in un certo senso, fungono da veri e propri sindacati anche se nei fatti perimetrano gli artisti in un’orbita ancora troppo poco intellettuale. Già dai primi del Trecento, ad esempio, i pittori si associano all’Arte dei Medici e Speziali, pur restando relegati a un ruolo subalterno rispetto a chi forniva loro le materie prime per il lavoro.
È con l’arrivo del Rinascimento che si assiste a una vera e propria rivoluzione, che riguarda per lo più il contesto. Dalle botteghe, in cui vi è una rigida organizzazione del lavoro tra artista, assistenti e apprendisti, si passa poi alle corti, che oggi, con un po’ di fantasia, potremmo definire residenze d’artista.
Leonardo da Vinci può essere considerato una delle prima figure complete di artista e intellettuale in senso moderno, attorno al quale ruotava quello che era un nuovo sistema di produzione e commissione del lavoro: il mondo mecenatistico. Altre figure chiave nel panorama artistico segnano in modo indelebile la storia, figure chiave che personificano ruoli estremi, maledetti, contribuendo all’affermazione di un personaggio totalmente fuori da ogni canone. Pensiamo a Caravaggio e alla sua rocambolesca vita, che i suoi biografi tracciano con specifico rigore (sulla letteratura artistica, soprattutto quella sulle Vite, prima e dopo Vasari, ci sarebbe tanto da scrivere, ma una lettura dello storico dell’arte austriaco Julius von Schlosser è un ottimo rimedio per colmare tale vuoto), evidenziando guizzi e antinomie, gesta e opere con lo stesso pathos che si riserva agli eroi moderni.
E ancora celebri esempi di questo percorso alla ricerca dell’identità d’artista sono Bernini, Borromini, Reni, Rubens, Carracci, Rembrant ma anche chi è venuto prima e dopo di loro, da Mantegna a Rosalba Carriera. Quest’ultima spadroneggia nel Settecento con i suoi pastelli dai toni forti e insieme impalpabili, rivelando ed eternando l’eleganza aristocratica di cui il nuovo secolo si fa portatore sano. Il fatto che sia donna, inoltre, merita un altro capitolo fondamentale, quello del ruolo terribilmente secondario delle donne nell’arte, purtroppo, per certi versi, ancora oggi radicato nella società e nelle istituzioni. Basta pensare all’ennesima mostra tutta al femminile presentata di recente alla Galleria Nazionale, Io dico io. I say I., titolo ispirato alla straordinaria Carla Lonzi che purtroppo resta forse un’occasione persa per una riflessione profonda sulla questione di genere.
Anno paradigmatico per una nuova rivoluzione è il 1855: Gustav Courbet inaugura un’esposizione personale parallela a quella del Salon ufficiale, in cui mette in mostra i lavori rifiutati dalla giuria accademica. Un gesto che funge da spartiacque, un momento che cambia per sempre la sto- ria dell’arte. Da quel momento nascono i cosiddetti Salon des refusés, che nei fatti inaugurano il circuito alternativo dell’arte. Il collezionismo diventa una pratica cara anche ai borghesi e il mercato dell’arte, grazie all’impegno di personaggi mitici come Ambroise Vollard, imprenditore e gallerista francese, inizia a radicarsi con proprie specifiche regole.
Gli artisti amplificano il proprio ruolo organizzandosi in autonomia rispetto al sistema (basta pensare a ciò che fanno gli impressionisti quando decidono di riunirsi esponendo nello studio del fotografo Nadar). La piena consapevolezza del proprio ruolo intellettuale fa adesso i conti anche con la coscienza di un proprio ruolo in quello che oggi definiamo sistema dell’arte. Pablo Picasso in questo è un pioniere: ha rapporti con le gallerie, sviluppa un proprio impegno specifico nella gestione del proprio mercato e assume, sin dall’epopea cubista, un atteggiamento maturo rispetto al ruolo dell’artista nella società.
Se in età medievale il valore di un’opera era quantificato soprattutto in base alla tipologia di materiali impiegati, con il tempo sono cambiati i canoni del collezionismo e di quello che poi diventerà il mercato dell’arte. L’artista è intellettuale tra gli intellettuali (d’altronde bastava recarsi una mattina qualsiasi di un giorno qualsiasi del 1910 in una caffetteria parigina di Montmartre per comprendere l’atmosfera che si respirava). Pittori, scultori, scrittori e poeti si ritrovavano per concepire nuovi immaginari e per rivoluzionare, ancora una volta, il proprio ruolo nella società.
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