Visa transit, l’ultima opera in due volumi del visionario Nicolas de Crècy

Un racconto in bilico tra ricerca e sperimentazione, intenso e autobiografico, nel quale l’autore miscela – con grande sapienza – i ricordi (più che mai vividi) di viaggio a quelli dell’infanzia, dando ampio spazio ad un’approfondita riflessione sugli ultimi decenni che l’Europa, non senza difficoltà, ha attraversato. Pensieri tutt’altro che banali, in rimando ai visti e alle frontiere, ma anche alla libera circolazione e al turismo low-cost. Il medesimo titolo dell’ultima opera a fumetti in due volumi scritta e disegnata dal visionario e poetico Nicolas de CrécyVisa transit – entrambi pubblicati da Eris edizioni, rappresenta un gioco di parole tra il nome della macchina e la parola “visto” (“visa” in francese). In un mondo scisso in blocchi, il lungo viaggio di formazione narrato nel dettaglio è scandito dai controlli dei documenti a ciascun confine – e dal terrore che tali momenti determinano nei viaggiatori – a cui fa da contraltare la luce calda e solare dei paesaggi che vengono attraversati e degli incontri impressi nella memoria. «Soltanto attraverso la memoria siamo un unico individuo per noi stessi e per gli altri. All’età che ho, forse non mi resta neanche una sola molecola nel corpo che avevo alla nascita». Dal “Discorso sulla poesia drammatica” (1758) di Denis Diderot, filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte transalpino. E proprio questo passaggio apre il racconto di Visa transit (volume uno, cartonato, 144 pagine a colori, 27 euro) nel quale De Crécy – tra i fumettisti più rilevanti e apprezzati, ha studiato e si è formato artisticamente ad Angoulême – presenta il viaggio, avvincente e tutt’altro che semplice, compiuto a vent’anni assieme a suo cugino Guy a bordo di una precaria Visa Citroën.

Visa transit, volume uno: nell’estate del 1986, poco dopo la tragedia di Chernobyl (il 26 aprile di quell’anno, infatti, esplose uno dei reattori della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, il nocciolo andò a fondersi e diede il là al primo incidente nucleare della storia), i due attraversarono la Francia (“l’inizio del viaggio era trascorso senza intoppi, su strade statali e provinciali; Auxerre, Lione, il Morvan, Chambéry”), il nord Italia (“era un grande piacere estetico, che provocava in me una sindrome di Stendhal”), la Jugoslavia (“cosa vi ricordate prima che la sua implosione ne facesse il conflitto più sanguinario verificatosi in Europa dopo la Seconda guerra mondiale?”), la Bulgaria (“a parte qualche stereotipo non conoscevamo niente di questo paese”) e la Turchia (“nessuno sapeva dove eravamo o dove andavamo, quello che facevamo, nemmeno quando abbiamo attraversato un paese pieno di spie”) in una malinconica – ma non triste – avventura su quattro ruote. Un viaggio che “era nato sotto il segno della poesia rassicurante, ma scomodo” per proseguire all’impronta (“Chernobyl aveva un’importanza relativa e tutto sommato abbastanza distante da farci comunque partire per l’Est”).

A bordo della loro (scassata) autovettura, i due avevano solo una piccola biblioteca improvvisata e due sacchi a pelo nei quali dormire. «Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso». Parole di Pablo Neruda, che De Crécy – classe 1966 – sposa nella loro totalità, decidendo di prendere spunto da questa rocambolesca vicenda autobiografica per dare vita a una serie di pensieri sul mondo che, in quel momento, lo circondava. Congiuntamente alla contrapposizione tra il turismo di massa dei giorni nostri, semplice e a basso costo, e la concezione del viaggiare di trent’anni fa – di certo più romantica, ma anche meno confortevole (“caldo fuori e caldo insopportabile nel nostro abitacolo: quel maledetto riscaldamento era ancora bloccato”) – De Crécy (la cui esplorazione delle differenti tecniche artistiche lo identifica tra gli autori imprescindibili del fumetto contemporaneo, amato dal pubblico e dalla critica tanto in Europa quanto negli Stati Uniti e in Giappone) rimarca la questione delle frontiere (“mi ricordo quel leggero nervosismo nel passare da un paese all’altro, la sensazione di lasciare il proprio nido”).

Abbandonando – non in toto, sia chiaro – la sua poetica onirica e visionaria che viene esaltata, ad esempio, nel racconto a fumetti Diario di un fantasma del 2017, sempre per Eris edizioni (racconto nel quale un bozzetto diventa un disegno pubblicitario e passeggia per le strade del Giappone), l’autore sviscera i propri ricordi – certamente imprecisi e rivisitati dall’immaginazione, ma i lettori non chiedono altro – forte dello stile pittorico che lo ha reso celebre. Memorie profonde le sue che si susseguono, incalzanti, anche in Visa transit, volume due (cartonato, 144 pagine a colori, 27 euro), opera in grado di proseguire l’avventura che ha aperto un nuovo, affascinante capitolo nella carriera artistica di De Crécy. Sì, viaggiare, ma (non) evitando le buche più dure: perché spesso il tragitto è più importate della meta stessa. E annullare ogni confine è quasi un obbligo. Ed eccoli i nostri – l’autore, all’età di vent’anni, e suo cugino – ancora on the road, che valicano i muri dell’Est socialista per approdare nella metropoli che (più di tutte) costituisce il passaggio tra due mondi: Istanbul (“una città che ti stimola lo sguardo”). Privi di una meta ben definita – “ci facevamo trascinare dallo spettacolo delle strade, senza una destinazione precisa. C’era fin troppo da vedere” – la coppia di viaggiatori approda quindi nel cuore della Bielorussia (“l’iconografia sovietica era ancora presente ovunque, come se il muro di Berlino non fosse mai caduto”), dove il viaggio nella memoria di De Crécy si popola di altri ricordi della sua esistenza, propagandosi a riflessioni sull’arte di nomi quali Marc Chagall, Kazimir Severinovič Malevič, Joseph Mallord William Turner.

Ed ecco che la memoria “circola nella direzione che le conviene: e come un liquido, fluido, che si intrufola e si prende gioco del tempo, quel tempo che tuttavia e la materia stessa di cui e fatta”. E a tenere d’occhio il “turismo nella memoria” è Henri Michaux, scrittore, poeta e pittore belga naturalizzato francese nel 1955. Evocato in forma ectoplasmatica nel corso della narrazione (più che mai fluida, è come scendere in un fiume e farsi cullare), tenta di arginare ogni tentativo di appropriazione dei suoi testi che De Crécy – di cui Eris edizioni ha pubblicato anche Il celestiale Bibendum (2015), La Repubblica del catch (2016), Prosopopus (2018) e il già citato Diario di un fantasma – fa nel suo racconto, inseguendolo a bordo di una motocicletta. Da esperto viaggiatore qual è (in vita come pioniere della mente grazie alla mescalina, e da defunto come viaggiatore del tempo dato che “il tempo non e lineare”), Michaux diviene il viatico di questo intenso racconto. Un viaggio della memoria? Certamente, ma c’è dell’altro. Perché Visa transit non solo custodisce il passato, ma abbraccia – con speranza – il futuro. Che, a prescindere dalle strade battute, dagli stop e dai percorsi (ahinoi) obbligati, merita di essere vissuto. Prima ancora che percorso.

Info: www.erisedizioni.org