«È un lavoro collettivo, ci sono state appresso 200 persone, purtroppo sono tutti nomi che finiscono in un imbuto da cui spesso esce fuori solo “la serie di Zerocalcare”. Giuro che faccio il mio meglio per riconoscere a ognuno il lavoro che ha fatto e lo ripeto sempre: graziedodicimilioni a tutti e tutte, spero che il risultato finale e le reazioni non vi faranno vergognare di averci lavorato e che anzi ce svoltate altri lavori». Era lo scorso 17 novembre, data di uscita di Strappare lungo i bordi, la prima serie animata scritta e diretta da Michele Rech – conosciuto al pubblico come Zerocalcare – per Netflix. E l’autore la presentava appunto così, con un post tanto semplice quanto diretto. Com’è nel suo stile. E a neppure un mese dal lancio di Strappare lungo i bordi (6 episodi da circa 15/20 minuti ciascuno, prodotta da Movimenti production in collaborazione con Bao publishing) – presentata a metà ottobre alla Festa del cinema di Roma, con la proiezione in anteprima dei primi due episodi – c’è ancora molto da dire: questa serie animata dal titolo decisamente originale («è un po’ arzigogolato, lo so», ha ammesso Zerocalcare) l’autore è riuscito a conquistare un pubblico talmente vasto da superare anche le più rosee aspettative.
«Ambientata nell’universo del fumettista Zerocalcare, la serie racconta, attraverso flashback e aneddoti, le vicende di Zero, Sarah e Secco, diretti verso qualcosa di incredibilmente difficile». Poche parole, quelle riportate nella scheda pubblicata dalla piattaforma di streaming (ma è impossibile non notare la dicitura: «Percentuale di utenti a cui è piaciuta questa serie tv: 98%»). Eppure da giorni quasi non si parla – né si scrive – d’altro. Zerocalcare è diventato nazionalpopolare? Sì. E in questo senso colpisce, in particolare, il commento (tra le tonnellate) di un appassionato della prima ora: «Mi subentra un po’ di gelosia, perché egoisticamente non avrei mai voluto che ciò diventasse di moda». Parole che, pur non rientrando nella categoria “fan”, è arduo non comprendere, perché oramai l’autore romano d’adozione ha ampliamente superato – con pieno merito – il Grande raccordo anulare. Anche la sterile diatriba sull’eccessiva parlata troppo trascinata e “in romanesco” della serie – polemica bollata dallo stesso Zerocalcare come «ridicola, chiunque sia capace di andare a fare la spesa da solo è in grado di capire Strappare lungo i bordi» – lo dimostra. È così difficile capire che, questo non volersi snaturare – nonostante ciò che oggi gli ruoti attorno – è proprio ciò che ha reso l’autore tanto apprezzato e, appunto, popolare?
In parte c’era già riuscito con Rebibbia quarantine, la serie disegnata (e presentata a Propaganda live su La7) nella quale racconta la quarantena da Coronavirus. Video, questi, pubblicati su Facebook e divenuti virali nel corso del lockdown. Però con Strappare lungo i bordi qualcosa (in meglio) è cambiato. E oggi il film La profezia dell’armadillo (2018), adattamento cinematografico dell’omonima graphic novel passato in sordina tra gli addetti ai lavori e mal digerito dalla stragrande maggioranza dei lettori, è oramai solo un lontano ricordo. Spiega oggi l’autore: «Nel momento in cui mi sono trovato a scrivere, mi rendevo conto di tutta una serie di paletti che avevo rispetto alla gestione di un formato narrativo lungo. Con Rebibbia quarantine mi sono misurato un po’ con quella tipologia di ritmo e dunque ho pensato: facciamo come ho fatto coi fumetti, questa prima storia tentiamo di narrarla a blocchetti precisamente come fu per l’Armadillo». E precisa: «In tanti vivranno Strappare lungo i bordi come un reboot. Invece parliamo di due avvenimenti differenti nella vita mia e pertanto di due persone assai diverse. Nella Profezia dell’armadillo ero molto ancorato alla realtà, qui è presenta una dose di fantasia: il personaggio di Alice non è quello di Camille». E il plauso va tutto al fumettista nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983, che – dopo aver vissuto in Francia – si è trasferito nella capitale, a Rebibbia, a cui è rimasto legato a doppio filo («per me è impensabile andare via da questo quartiere. Come lo è trascorrere tre notti fuori da questa zona», ammette).
Alcuni giorni fa (esattamente il 25 novembre) l’autore è uscito in libreria e fumetteria con una nuova raccolta di storie – Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia – in cui affronta argomenti importanti: dalla condizione dei detenuti a inizio pandemia all’importanza della sanità territoriale, dal tema della “cancel culture” (citata, ad esempio, da numerosi opinionisti per commentare la vicenda del “bacio non consensuale di Biancaneve”) al reportage di viaggio nel Kurdistan iracheno (che rimanda al graphic novel Kobane calling del 2016). Nella storia conclusiva, Zerocalcare tratteggia gli interrogativi e le ansie dell’ultimo, difficile anno, nel quale il mondo si poneva domande sul futuro e lui cercava di comprendere, una volta per tutte, cosa fare da grande. Ecco, senza voler beatificare nessuno – dallo scorso 17 novembre il rischio è tangibile, considerando molte delle cose che si leggono in giro – un aspetto che piace profondamente dell’autore è la sua capacità di porsi sempre dei quesiti, di sentirsi “inadeguato” (nonostante il successo), all’interno di una società dove invece i modelli che predominano sono quelli di chi “non deve chiedere mai”.
L’apparire costi quel che costi: Zerocalcare è nella realtà quanto di più distante da questo, e probabilmente la sua paura più grande, dopo un trionfo come quello della serie animata su Netflix, è proprio quella di perdere una parte di se stesso. Perché parliamo di un (quasi) 38enne sospeso tra l’adolescenza e l’età adulta, in grado di comunicare in modo spontaneo, credibile e senza filtri. E i suoi lettori, che – a parte gli esordi – non sono mai stati solo quelli nati a Roma, ne sanno qualcosa.
Alcuni giorni fa la Bao publishing – casa editrice di Milano, fondata nel 2009 da Michele Foschini e Caterina Marietti, ai quali va dato il merito di avere investito fin da subito sull’arte di Zerocalcare (non dimentichiamo la sua prima personale al Maxxi da novembre 2018 a marzo 2019: Scavare fossati, nutrire coccodrilli), trasponendola dal web al cartaceo – scriveva sul proprio Instagram: «Alla Feltrinelli di Roma sono terminati i pass sia per i disegnetti che per i firmadilli. Stessa cosa per Milano e Bologna, abbiamo aggiunto pass, abbiamo esteso il numero di ore, ma lo sappiamo che non abbiamo accontentato tutti. Zerocalcare è uno, rimarrà più di dodici ore nelle librerie». E così è stato – ed è tutt’ora – in termini di disponibilità ai suoi lettori e di rispetto verso il proprio lavoro. Tutt’altro che semplice.
Da sempre legato alla scena underground, l’autore è stato portavoce della generazione anni Novanta, cresciuta tra precariato e Rete, tra il G8 di Genova e le serie televisive. Tutti elementi presenti in Strappare lungo i bordi – serie dalla forte potenza narrativa e dalla trama estremamente lineare – dove non solo il protagonista, ma anche i suoi amici Sarah e Secco – nonché la dolce Alice – conquistano fin da subito lo spettatore. Ed eccoli gli amici di sempre (doppiati tutti da Zerocalcare, che ha rivelato: «Fare le vocine in studio mi fa sentire stupido, l’idea che le sentano tutti mi umilia molto»): l’ex compagna di classe Sarah, che non ama i fronzoli ed è quasi l’alter ego femminile di Michele; Secco, ovvero l’amico per antonomasia, quello del quartiere, che cerca di “svoltare” giocando a poker online e la cui espressione più usata – “S’annamo a pijà er gelato?” – è divenuta virale sui social; Alice, personaggio tanto sensibile quanto altruista, che – conosciuta dal nostro ad un concerto punk – insegna ai tre (e non solo a loro) quanto sia precaria l’esistenza umana, in costante bilico tra soddisfare noi stessi e rispettare i canoni e gli stereotipi che la società moderna ci impone. Incapaci di adattarci a determinati confini ma chiamati a inventarci – o reinventarci – ogni singolo giorno, fluttuando al pari di “fili d’erba”, incuranti di essere insignificanti (e per fortuna è proprio così) e di non avere il peso del mondo sulle nostre spalle (“d’altronde che le nostre vite si fondassero su assunti traballanti, ci stava già qualche indizio sparso qua e là”). E un evocativo, intenso viaggio in treno sarà per Zero, Sarah e Secco l’occasione di tirare le somme.
Accanto a loro – o meglio, accanto a Zero – c’è, anche fisicamente, l’Armadillo, un animale dalle fattezze vagamente umane. Nel fumetto come nella serie (dove a prestargli la voce è l’ottimo Valerio Mastandrea ed è lo stesso fumettista a spiegare il motivo: «Non volevo doppiarlo io poiché, essendo l’Armadillo la mia coscienza, in un dialogo a due serviva qualcuno che mi controbattesse») funge da grillo parlante, senza peli sulla lingua (“hai scopato?”, chiede a Zero di ritorno da casa di Alice, e alla sua risposta negativa non si esime dall’etichettarlo “cintura nera di come si schiva la vita. Quinto Dan”.). Ecco, delicatezza e strappi improvvisi, proprio come si fa quando si cerca di isolare le figure tratteggiate sulla carta. Tentando di non strapparle. Perché se in principio la linea da seguire appariva un cammino semplice, ben strutturato, con il trascorrere degli anni questo tratteggio è meno nitido, un po’ come la foto dei fratelli McFly che va sfocandosi nel primo episodio della trilogia di Ritorno al futuro. Film del 1985 che è citato anche in Strappare lungo i bordi, al pari di altre pellicole, serie tv, cartoni e canzoni di cui l’opera straborda. E proprio la scelta dei brani non solo è tutt’altro che casuale («potrei aver scelto una colonna sonora un po’ da boomer, ma sono canzoni che mi hanno accompagnato tutta la vita», ha affermato Zerocalcare) ma si è rivelata vincente («nel fumetto non posso lavorare con le atmosfere, con le musiche», l’ulteriore spiegazione), così come quella della title track scritta e interpretata da Giancane (le cui composizioni si affacciano anche nel corso di altri momenti della serie). Il cantautore romano, con cui Zerocalcare ha creato un sodalizio tre anni fa, nel corso della realizzazione del video della canzone Ipocondria (feat. Rancore) – traccia che ha costituito la soundtrack del short animato di Rebibbia quarantine – ha ringraziato così l’amico Michele: «Grazie perché mi hai fatto fare questa cosa qua che è tipo un sogno e, in uno dei momenti più bui della mia vita hai acceso una lucina da seguire».
Forte di una campagna pianificata con una “station nomination” (che l’autore definisce «un botto di spazi») alla stazione di Roma Termini – ma a decretarne il successo è stato il passaparola, anticipato da una grande attesa – Strappare lungo i bordi è una serie animata ricca di dettagli (tant’è che ogni tanto lo “stop” è d’obbligo per tornare indietro e gustarsi meglio alcune finezze), toccante e chirurgica, che “prende” lo spettatore e lo accartoccia. Un’opera che fa riflettere (“e allora noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così: che bastava strappare lungo i bordi e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere”), nell’arco della quale “l’ultimo intellettuale” – come Zerocalcare è stato definito da una copertina del settimanale L’Espresso –, tra il nervoso e l’ironico, riesce frapporre chilometri tra sé e il dolore mediante una raffica di considerazioni e battute (“stavamo tutti in un turbinio di emozioni in cui non capivamo un cazzo”), ed è sì capace di inchiodarci alle nostre responsabilità (lui che oggi ce l’ha fatta e vive, molto bene, del suo lavoro), ma anche di farci sentire compresi e rassicurati. In un crescendo di emozioni e interrogativi esistenziali irrisolti. E quando ci dice: «Lo so che ve stanno a fa una capoccia così ma tenete presente che gli episodi durano 20 minuti scarsi, quindi in un’ora e mezza ve la siete levata dar cazzo», a noi non resta che (affettuosamente) rispondergli: «Però volevo guardà una serie, non fà psicoterapia, li mortacci tua».