Intervista con Gaia De Megni, l’artista finalista al Talent Prize 2021

Roma

Gaia De Megni ama il cinema, ma anche la scultura, la storia e, come gran parte dei ragazzi della sua generazione, ama trasmettere, raccontare visioni e connettere spazi e tempi. Nell’epoca delle serie TV e della comunicazione istantanea, la sua produzione artistica potrebbe risultare quasi stridente, anacronistica, ma, al contrario, ne è parte integrante e si delinea in una costante ricerca di tradurre in qualcosa di tangibile, monumentale, ciò che nasce come immateriale.

«Mi è sempre interessato – dice De Megni – capire come distaccarsi dai contenuti che riceviamo costantemente dal mondo delle immagini e provare a rielaborarli attraverso le assenze, ad esempio creando delle sculture in cui la scelta del materiale ricorda uno schermo, spogliandole però delle immagini che dovrebbero rappresentare, lasciando il solo sottotitolo inciso sulla materia. Il mio intento è capire quale sia il reale approccio con la parte scritta da parte dello spettatore, cioè la nuova matrice di immagini in movimento che si innescano in chi guarda». Sono le moving images ad attirare Gaia e durante il suo percorso artistico, diventano non solo un mezzo ma anche l’oggetto della sua ricerca. «Ho intrapreso – racconta –  la carriera artistica a partire dall’università con un percorso molto graduale.

Il mio lavoro con il video nasce da uno studio a livello cinematografico, di ciò che è stato il mondo del cinema e del suo archivio storico e dell’importanza che ha a livello sociale.

Il mito dell’eroe, 2021, courtesy Galleria Giorgio Galotti. Foto Lorenzo Basili

Ho sempre cercato di indagare il mondo delle rappresentazioni, la spettacolarizzazione, la società contemporanea prima con la scultura poi con la performance». Quella di De Megni è una produzione artistica da cui emerge una profonda conoscenza del panorama cinematografico storico ma anche contemporaneo e da essi attinge costantemente trasformandoli poi nella sua personale interpretazione in cui il non visibile, il non detto, i vuoti e il silenzio ma anche i suoni cadenzati raccontano il suo personale e raffinato immaginario.

«Utilizzo moltissimo il cinema – continua – ne rubo immagini preesistenti. Da Antonioni a Godard, da Ingmar Bergman a Tarkovskij: ho ideato l’immagine de Il Mito dell’Eroe proprio guardando una scena cult del suo film L’Infanzia di Ivan, dove il protagonista abbraccia una donna in mezzo a una foresta. Poi ci sono anche tanti altri artisti che stimo moltissimo come Matthew Barney e altri ancora che invece ho incontrato durante il mio periodo di formazione, come Adrian Paci e Marcello Maloberti». Immagini, parole, elementi umani protagonisti anonimi ma determinanti delle sue performances non provengono solo dal grande schermo. Anche il mondo dei social network può rivelarsi utile ad arricchire la sua indagine. «Questi mezzi – conferma – hanno un enorme potenziale, anche se non è mai facile capire quanto siano veritiere le informazioni che ci arrivano. Dal punto di vista della velocità e della capacità di raggiungersi li trovo rivoluzionari, anche se è difficile comprendere cosa è reale e cosa è stato rielaborato in più e più vesti prima di arrivare a noi. Proprio da questo nasce anche la necessità di realizzare un lavoro dove il contenuto sia ​​personale e non, in un qualche modo, imposto dalle immagini che arrivano sui nostri schermi». Una necessità a cui l’artista ha saputo dare una risposta grazie all’arte e alla rappresentazione di un eroe apparentemente normale, in marcia verso un destino glorioso ma sospeso in un immaginario bosco che lo racchiude nel suo naturale scrigno, che cattura lo sguardo e l’attenzione col suo incedere ritmato e la convinzione del suo sguardo.

«Il Mito dell’Eroe – spiega Gaia De Megni – è una performance che racconta l’approccio dell’individuo nei confronti della propria autorappresentazione tipica del mondo dei social network, immensi mondi virtuali dove ci presentiamo attraverso canoni prestabiliti. Il costume di scena, l’uso dell’abito militare, si lega invece al discorso del ruolo, inteso a livello teatrale ma anche a livello reale, di vita sociale, di come l’individuo interagisce con la società». Studiare e comprendere l’essere umano e i suoi comportamenti, tradurre atteggiamenti, pensieri, espressioni in una forma artistica in cui i protagonisti si muovono in un mondo simile al reale ma privo di certezze e di regole preimpostate dall’uomo stesso. Un impegno importante che  De Megni porta avanti con determinazione e motivazione. E mentre continua la collaborazione con la galleria Giorgio Galletti, pensa al futuro: «Al momento – ammette – sono in fase di progettazione. Il mio ultimo lavoro è stato molto sentito ma ha aperto anche diverse porte, nuove visioni. Mi affascina come l’individuo riesca a vivere socialmente il proprio ruolo, sia dal punto di vista di come si presenta sia di quello che gli appartiene in quanto essere vivente. Mi auguro di aver sempre tanta voglia di fare come ne ho adesso».ù