Marco Angelini in mostra alla galleria Triphè

Roma

“Puoi fare, dire o scrivere mille cose, ma il dolore è la conoscenza più intima. Vive dentro di noi, nelle nostre viscere, toccando tutto ciò che fa di noi ciò che siamo. Reclama le nostre ossa, impera sui nostri muscoli, s’impenna davanti alla nostra forza, e poi scompare. L’arte del dolore è nel suo tocco. Come pure il suo orrore. Il dolore è una creatura parlante e mi dice che sono stato irresponsabile non dando al mio corpo il riposo di cui aveva diritto. E così ora mi fa male ogni centimetro della mente. Sono il flagello senza fine, la caduta senza fine, la storia senza fine di ciò che accade a un uomo incapace di dimenticare.

Sono soltanto un essere umano. E anche questo non lo dimentico” scrive Gian Paolo Serino, accostando dolore e memoria, offrendo una lettura umanizzata della dimensione dolorosa, non idealizzata ma al contrario estremamente terrena. Un simbolo del dolore, la lametta, viene ripetuta in sequenze che animano gli assemblage di Marco Angelini, sequenza che non è, come usualmente accade, rigida e schematica, ma al contrario lascia spazio ad un certo movimento, ad una sorta di fluidità di fondo: il dolore si unisce alla memoria per rimescolarsi, rimestarsi, divenire dimensione altra e quindi guarirsi perché, come nella poetica tutta di Angelini, le sue opere non veicolano mai vibrazioni negative, sono altresì salvifiche, depurative. La catarsi che è genesi dell’altro e dell’altrove trova la sua traduzione ed esplicazione visiva nelle macchie informi di colori che si affiancano alle schiere di lamette, macchie che intercettano forme fluide ed evolutive che idealmente sovrastano le campiture di colore piatte che vi abitano al di sotto: tutto è libera interpretazione per lospettatore, libero sentire in uno scambio artista-fruitore in perfetto equilibrio.Il nuovo ciclo di lavori è in mostra fino al 20 dicembre prossimo presso la Galleria Triphè di Roma, nell’esposizione Ludus Matematico a cura di Maria Laura Perilli, e comprende un prezioso sottoinsieme di 8 opere ciascuna delle quali, con il proprio titolo, omaggia le regole della Gestalt:

  • Buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice);
  • Prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze)
  • Somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili)
  • Buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo)
  • Destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente)
  • Figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo)
  • Movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti)
  • Pregnanza (nel caso gli stimoli siano ambigui, la percezione sarà buona in base alle informazioni prese dalla retina)

regole che parlano di percezioni e secondo le quali l’abbinamento ad ogni singola opera è dettato dalla compagine cromatica dell’opera stessa.Le opere di Marco Angelini ricordano l’attitudinedi quelle di Armand Pierre Fernandez, noto come Arman, per la moltitudine di oggetti, di elementi talvolta insoliti per un lavoro d’arte, presenti in una serialità non statica e non prefissata, bensì fluida, movimentata ed avvolgente, che si apre ad infinite chiavi di lettura.

Info: http://www.triphe.it/