Rock poster, un volume sul manifesto rock e la sua evoluzione

Roma

Non solo l’arte delle copertine dei dischi, ma anche quella dei manifesti. Diventando essi stessi arte. Un po’ come recita il sottotitolo del volume Rock poster 1940-2010, scritto da Martina Esposito, al cui interno racconta con dovizia di particolari il manifesto rock e la sua evoluzione (da semplice veicolo promozionale di concerti e festival ad autentico oggetto di culto). Edito da Vololibero, il libro (100 pagine, di cui 36 a colori a tutta pagina; 19.50 euro) presenta in appendice un saggio di Matteo Guarnaccia – artista, saggista e storico del costume – dal titolo Quando la musica rimbalza sul muro. In cui spiega: «I poster giocano un ruolo strategico nell’espandere e tradurre il mood sonoro, sollecitando gli apparati sensoriali».

E proprio quello che diventerà il “rock poster” nasce negli Stati Uniti (Tennessee, per esse precisi) nel 1940, in una ditta a gestione familiare da sempre focalizzata sulla pubblicità di match pugilistici ed eventi fieristici. All’inizio la grafica è monca di qualsivoglia appeal e guizzo artistico, ma con l’affermarsi del rock’n’roll, seppur in modo graduale l’estetica del manifesto diviene sempre più eloquente e l’iter creativo passa nelle sapienti mani di artisti oggi divenuti iconici. Dallo stile psichedelico dei poster per i live organizzati dal collettivo Family dog al modello immaginifico (assai più recente) appannaggio dello studio Ames Bros, l’arte e la musica hanno filtrato a più non posso, concretizzando capolavori grafici.

«La sinestesia, il connubio tra diverse forme d’arte, con la musica come centro propulsore», rimarca Guarnaccia. Curiosità, passione e talento che, al pari di un motore, hanno spinto Esposito – lavora come grafica, illustratrice e docente – a realizzare un volume in rimando alla tesi che ha proposto all’Accademia di Belle arti di Bologna, a conclusione del biennio di illustrazione editoriale. «Ho sempre osservato con grande attenzione tutta l’estetica della musica – spiega l’autrice, che vive a Milano – trovandola assai intrigante. Proprio durante l’Accademia mi sono resa conto che esisteva un vero e proprio filone legato al manifesto rock, molto in voga negli Stati Uniti, meno in Italia».

Nasce da qui l’impulso a indagare su un argomento «che mi ha portata a ricostruire le tracce della sua storia, così ho scelto di utilizzarlo come tesi. Anni dopo, continuavo a pensare che questa indagine avesse bisogno di essere conosciuta da più persone: ogni volta che ne parlavo con amici, c’era sempre grande interesse. Così ho ripreso in mano la mia vecchia tesi, e l’ho riscritta aggiungendo interviste ad alcuni artisti». E “il manifesto diventa arte” attraverso i poster di band senza tempo: Beatles, Rolling Stones, Led Zeppelin, Sex Pistols, Pink Floyd solo per citarne alcuni.
Ma tra i manifesti che hai inserito (e la cui genesi hai ben dettagliato) ce n’è qualcuno a cui sei più legata? «È difficile sceglierne uno emblematico per me – replica l’autrice – ma probabilmente a provocarmi maggiore emozione c’è quello di Newport 1965, che promuove una serata capace di cambiare le sorti della musica: il primo assetto elettrico di Bob Dylan. Quella scelta avrà molte conseguenze, non ultima la Summer of love. Dunque, amando anche la tenacia di Dylan, lo considero un poster basilare».

E per quanto riguarda i “grandi esclusi”? Per Esposito (che colleziona collaborazioni di rilievo, come quella con Marvel entertainment per Netflix Us) nessun dubbio: «Non ci sono né Woodstock né il Live Aid, ed è stata una scelta personale, legata all’idea di non privilegiare i concerti più famosi ma di citare quelli ugualmente significativi. L’assenza di Woodstock è bilanciata dall’Altamond, il festival gemello organizzato da Mick Jagger, mentre quella del Live aid dai Queen a Wembley».

Info: www.vololiberoedizioni.it

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