Gli artisti, questi folli che ci aiutano a capire il presente. Un tema sciolto nel nuovo Conversation piece alla Fondazione Memmo

Roma

Continua il ciclo Conversation Piece alla Fondazione Memmo di Roma, che vede in conversazione personalità artistiche ancora una volta piuttosto differenti fra loro, invitate alla riflessione fra il proprio lavoro e la città di Roma, messi in posa all’interno dello stesso ”quadro di famiglia” in una conversazione apparentemente disgiunta, ma che, come in ogni occasione di questo progetto di mostre, si dimostra invece ben equilibrata e coesa.

Il punto di partenza per questo settimo appuntamento, sempre a cura di Marcello Smarrelli, è l’opera dello scrittore alsaziano Sebastian Brant dal titolo La nave dei folli, arricchito nella sua prima edizione dalle illustrazioni di Albrect Dürer e segnato da un particolare successo di pubblico tanto da fargli guadagnare la nomea di best-seller dell’epoca, con tanto di numerose ristampe illustrate di volta in volta da numerosi artisti. La storia è quella di un viaggio affrontato da una nave stipata di folli, che dovrebbe concludersi nel paese di Narragonia e cui dovrebbe seguire l’approdo al celebre Paese della Cuccagna: un viaggio che non vedrà mai fine e che si concluderà con il naufragio dell’imbarcazione e la morte di tutti coloro che vi erano a bordo. Nella visione moralistica di Brant, che coincideva con la visione pregiudiziosa dei suoi contemporanei, per folli hanno ad intendersi tutti coloro che non fossero conformi ad un’idea convenzionale di normalità: i folli sono dunque i diversi, i pericolosi, i reietti spinti ai margini della società, una società che vuole allontanarli per preservarsi all’interno dei confini di quella tanto celebrata adesione a dei canoni prestabiliti.

Benedikt Hipp. Foto Daniele Molajoli
Benedikt Hipp. Foto Daniele Molajoli

Diversi secoli dopo è Michel Foucault a riprendere in mano la storia del viaggio a Narragonia per la sua rilettura della follia nella Storia della follia nell’età classica pubblicato nel 1961. Secondo l’autore coloro che venivano considerati non conformi alla norma non dovevano essere demonizzati o derisi, quanto piuttosto in grado di raggiungere le idee migliori grazie alla loro diversa sensibilità. Proprio da questa rilettura della follia come possibile fonte della immaginazione e della creazione artistica prende spunto Conversation Piece Part VII – Verso Narragonia: nella sua eccentricità l’artista, il ”folle” dei tempi contemporanei, può raccontare i tempi che stiamo vivendo con un estro ben lontano dalla lucida normalità.

Ad accogliere il visitatore è la sala del duo belga Jos de Gruyter & Harald Thys, che come già sperimentato in occasione della 58ª Biennale di Venezia presenta una serie di figure orrorifiche, la cui mise en scène per l’occasione è una serie di busti in gesso, capelli sintetici e vernice di 23 personaggi più o meno noti, tra assassini, dittatori, persone comuni, assassini e vittime presentati come fossero antiche teste di epoca romana classica. La sala, resa ancora più algida dai filtri blu applicati ai corpi illuminanti, è arricchita dalla biografia dei personaggi rappresentati redatta dagli artisti, un viaggio nelle storie di personalità distorte cui lo sguardo inquietante è fisso sullo spettatore.

Per Apolonia Sokol il viaggio contemporaneo verso Narragonia è un’imbarcazione carica di figure femminili – tutte amiche o conoscenti dell’artista, dunque ritratti di volti realmente esistenti – che mettono in scena orientamenti e generi sessuali diversi, in una moderna Zattera della Medusa che trasporta le testimoni di temi fortemente attuali legati ad una forma contemporanea di emarginazione. A fianco della grande tela realizzata in collaborazione con il Laboratorio Cantagalli di Roma – volutamente estroflessa rispetto alla parete per rendere formalmente visibile la stortura caratterizzante la nave dei cosiddetti diversi – è accompagnata da un componimento della poetessa Siham Benamor e dall’edizione del 1572 dello scritto di Brant, generosamente concessa in prestito dalla Biblioteca Oliveriana di Pesaro.

Ancora una nave, di nuovo, la culla che accompagna le sculture di Benedikt Hipp, ispirate agli ex-voto osservati a lungo nel laboratorio dei propri genitori e realizzate con una particolare cottura in forno tradizionale giapponese, grazie alla quale la ceramica appare nella sua resa finale simile a materiale lavico. Brandelli di corpo, gli stessi che si ritrovano negli oli su MDF alle pareti, che contribuiscono a creare una dimensione perturbante, onirico, magico, come il fondo nero verso l’abisso di queste grandi finestre he sono le tele di Hipp, in cui l’occhio si tuffa rapito a contatto con l’oscurità.

Fino al 1° luglio 2021, Fondazione Memmo, Via Fontanella Borghese 56b, Roma, [email protected], www.fondazionememmo.it