Indagine sul Pianeta Terra

Roma

In attesa dello start del ”nuovo” Mattatoio di Roma, che si sta preparando a diventare un hub dedicato alla performance (leggi qui l’articolo), lo spazio si prepara ad accogliere, a fine luglio, due grandi installazioni, pensate per riflettere sulla complessità del presente; due opere che, con linguaggi diversi, parlano della condizione dell’essere umano nella sua relazione con l’ambiente, in un momento forse unico di riflessione e consapevolezza condivisa a livello globale.

GAIA di LUKE JERRAM (dal 29 luglio al 3 agosto)
L’allestimento dell’artista britannico sarà posizionato all’aperto, al centro del complesso del Mattatoio. L’artista consentirà al pubblico, per la prima volta dopo anni, di attraversare, anche con lo sguardo, il grande viale centrale che collega il Lungotevere e il Ponte Testaccio con Piazza Orazio Giustiniani. La sua opera è
 una riproduzione fedele del pianeta visto dalla Luna: misura sette metri di diametro e la sua superficie è stata creata attraverso la combinazione di immagini ad alta definizione fornite dalla Nasa. «Gaia – ha spiegato la curatrice Ilaria Mancia – oggi appare a tutti noi, e non solo alle minoranze sensibili alle questioni ecologiche o climatiche, un luogo comune, uno spazio enorme e complesso, uno spazio interconnesso, in cui ciascuno sta facendo esperienza delle medesime cose da punti di vista e situazioni diverse. Nell’immaginario contemporaneo questo oggetto, che da lontano sembra una pallina di marmo blu venata di bianco, è l’immagine stessa della bellezza, ma anche della fragilità, del rischio di trasformazioni irreversibili e catastrofiche in quanto totali, è uno dei tanti pianeti ma l’unico mondo che dobbiamo preservare e abitare creando alleanze che superino l’umano».


Seguendo le indicazioni del suo stesso autore, Gaia diventerà uno spazio di attivazione e di espressione per altri artisti e pensatori. Il programma prevede – dal 29 luglio al 3 agosto – l’intervento di ospiti che condivideranno fisicamente e idealmente questo contesto creativo di confronto e di scambio, in un gioco di contaminazioni tra momenti performativi, incontri su tematiche ambientali e mitologiche, concerti, laboratori per bambini. Tra gli ospiti il musicista Davide ”Boosta” Dileo, il coreografo Alessandro Sciarroni, la scrittrice e giornalista Loredana Lipperini, la formazione artistica Kinkaleri, il filosofo Leonardo Caffo, la dj e producer Deena Abdelwahed, i ricercatori Sara Gainsforth e Giacomo Maria Salerno, la cantante Ginevra di Marco, il filosofo Emanuele Coccia, insieme ai laboratori per bambini condotti dal Laboratorio d’arte di Palazzo delle Esposizioni e allo spettacolo per bambini della Compagnia I Sacchi di Sabbia / Teatro delle Briciole.

THIRST di VOLDEMARS JOHANSONS (dal 31 luglio al 16 agosto)
L’opera sarà allestita in uno dei teatri della Pelanda. Si tratta di una video-installazione immersiva di un mare in tempesta che ci pone di fronte a una classica opposizione dialettica fra la contemplazione della potenza della natura, con il suo carico di fascino, e l’esperienza diretta, e quindi il rischio che ci potrebbe toccare o addirittura investire. «Da una parte c’è il sublime – poter vedere qualcosa di terrificante stando al sicuro – dall’altra c’è il terrore rispetto a forze preponderanti e incontrollabili – continua la curatrice -. Si dice che William Turner, che era un vero specialista di tempeste, nell’ansia, tipicamente romantica, di riuscire a ”stare dentro” il sublime, a farlo proprio, si facesse legare all’albero maestro di navi che affrontavano il mare in burrasca. Forse la storia è inventata, ma è certo che i suoi quadri, che sono una delle fonti ispiratrici del lavoro dell’artista lettone, non sembrano mai visioni distaccate e rassicuranti. La tempesta ci travolge ma da un punto di vista in cui possiamo osservarla, abbandonandoci a una condizione impossibile e, allo stesso tempo, seducente».

”Sopravvivere su un pianeta infetto” (Donna Haraway) è possibile grazie alle alleanze con gli altri esseri viventi e grazie a tutto ciò che accade indipendentemente dalle azioni umane ma forse è possibile anche grazie alle opere d’arte, alla loro capacità di accompagnare la bellezza alla riflessione critica, il piacere all’elaborazione del trauma. Ci poniamo come osservatori a contemplare i fenomeni naturali, siamo spinti da un desiderio di comprensione che possa portare a stabilire con questi una relazione, per sentire responsabilmente che, come le piante, siamo fatti d’acqua e poggiamo a terra le nostre vite insieme alle altre creature.

 

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