Il 2020 sarà un anno all’insegna di van Eyck. Dopo le celebrazioni di Rubens nel 2018 e Bruegel nel 2019, le Fiandre concludono in bellezza il Flemish Masters 2018-2020, il programma ideato per valorizzare i tre più grandi pittori fiamminghi di sempre. In bellezza perché il 1 febbraio ha inaugurato al Museo di Belle Arti di Gand (MSK) la più grande mostra di Jan van Eyck mai realizzata finora: Van Eyck An Optical Revolution (fino al 30 aprile). Ma non finisce qui. L’evento porta con sé un fatto non di minore importanza: la conclusione dell’atteso restauro (iniziato nel 2012) della parte inferiore del celebre Polittico dell’Agnello Mistico (1432) – reso possibile grazie al Royal Institute for Cultural Heritage (KIK-IRPA, Brussels) – capolavoro assoluto di van Eyck, il cui protagonista dall’espressione umanoide ha fatto tanto discutere negli ultimi tempi. Il Polittico ora ammirabile in una grande teca in vetro collocata all’interno della Cattedrale di San Bavone, troverà nello stesso luogo una nuova posizione a ottobre, nell’ambito di un progetto innovativo ideato per il raggiungimento delle condizioni di fruizione perfette (architettoniche ed espositive) del Polittico, meraviglia unica di tutta la pittura fiamminga e tra i tesori del Belgio.
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L’ingresso alla mostra già è promettente attraversando la grande hall circolare dove il lucernario progettato da Charles van Rysselberghe rispecchia perfettamente lo stile architettonico del primo Novecento. Due scale parallele conducono poi alle prime due sale dove spicca l’enorme arazzo che immerge nel clima di fasto alla corte di Filippo Il Buono, contesto del protagonismo artistico di van Eyck. Proseguendo si viene introdotti alla storia del restauro del Polittico e alla figura del maestro fiammingo, inizialmente tramite un’oggettiva ricostruzione dei luoghi da lui frequentati, poi secondo la scelta curatoriale particolarmente calzante di dedicare un sala alle copie da van Eyck e al rapporto tra uomo e mitologia, raccontando ad esempio la leggenda per cui Antonello da Messina fosse andato a far visita all’artista (Joseph-François Ducq, La Visite d’Antonello de Messine dans l’atelier de Jan van Eyck) – avvenimento storicamente impossibile – oppure quella (vera questa volta) della visita di Dürer che nel 1521 si recò effettivamente a Gand per vedere il Polittico.
Più avanti il percorso prosegue con una sala che non ci si aspetta sui materiali e gli oggetti raffigurati nelle opere di van Eyck. Si entra nel vivo del ”tema-Polittico” con una sala dedicata al Peccato Originale e alla Redenzione in cui appaiono le tavole con Adamo ed Eva e ancora più avanti le due dell’Annunciazione e delle sculture dipinte, parti integranti della sezione restaurata. Non mancano alcuni capolavori di manifattura italiana, impossibili da non notare perché esemplari per lo studio del rapporto tra figura e architettura-paesaggio, come la Madonna con Angeli di Benozzo Gozzoli, San Francesco riceve le stigmate di Beato Angelico e la Madonna del Roseto di Stefano da Verona, esempio unico in tutto il Quattrocento italiano, dove i piccoli angeli sembrano trasportare a fatica alcune delle innumerevoli rose in cui la figura della Madonna è armonicamente adagiata. La mostra si conclude con una sezione dedicata ai ritratti eseguiti da van Eyck e un’ultima sul ritratto divino.
Le opere esposte comprendono un arco temporale vasto che sconfina il 1400. Si arriva infatti al 1910 grazie a due opere di Gustave Van de Woestyne ispirate a van Eyck. Ma rimane ancora inspiegato il titolo della mostra. Maximiliaan Martens (nel team dei curatori con Till-Holger Borchert, Jan Dumolyn, Johan De Smet, Federica Van Dam e Matthias Depoorter) spiega che «la mostra è incentrata su tre nuclei tematici: la tecnica della pittura a olio, l’osservazione del mondo e la rappresentazione degli effetti luminosi». Fino al XVIII secolo si credette infatti che lo stesso van Eyck avesse inventato la pittura ad olio; non a caso Giorgio Vasari lo definì nel 1550 l’inventore per eccellenza della tecnica prima di allora mai così magistralmente eseguita, particolareggiata e personale (van Eyck fu anche il primo a firmare le proprie opere con la sigla equivalente alla frase ”van Eyck è stato qui”). Ed ecco spiegato il titolo grazie agli altri due aspetti citati da Martens: la capacità di osservare la realtà riproducendone abilmente i dettagli con estrema perizia tecnica e la conoscenza non solo artistica ma scientifica della luce, elementi che consentono a tutti gli effetti di affermare che quella attuata dal maestro fiammingo fu a tutti gli effetti una vera rivoluzione ottica. Si sintetizza così in una mostra magistralmente realizzata l’idea rinascimentale dello splendor, quella tipologia di luce tagliente che faceva letteralmente ”splendere” gli oggetti sui quali si rifrangeva, come solo i fiamminghi riuscivano a dipingere nelle proprie opere così ricche di dettagli brillanti mentre negli stessi anni in Italia vigeva la lumen diffusa di Piero della Francesca e ancor prima di Beato Angelico; un confronto tra Rinascimento fiammingo e italiano impeccabilmente riscontrabile.
Fino al 30 aprile
Museo di Belle Arti di Gand
Info: https://www.mskgent.be/nl