Biennale 2019, i Giardini

Venezia

Curata da Ralph Rugoff, la 58esima Esposizione della Biennale di Venezia si intitola May You Live In Interesting Times, frase che incarna un detto inglese a significare periodi di incertezza, crisi e disordini. Questa esposizione incarna il momento di crisi che stiamo vivendo e tende al superamento del conformismo e della incomunicabilità, tende ad esprimere una paura sociale generalizzata che colpisce varie fasce della nostra società. Vige un’incertezza che oramai sembra aver preso il sopravvento. In una civiltà globalizzata si stanno perdendo le tradizioni culturali; nella precarietà dei nostri tempi stanno emergendo movimenti nazionalisti; per le politiche internazionali sta aumentando a dismisura il problema dei profughi; per le politiche finanziarie vi sono molti più poveri. In questo contesto l’arte può denunciare grazie ad un pensiero critico lo status quo, ma si trova priva di mezzi per modificare realmente la situazione in cui ci troviamo. Gli artisti, in questa Biennale 2019, propongono nuove contestualizzazioni del pensiero vigente attraverso il capovolgimento del punto di vista e grazie ad una nuova interpretazione di oggetti, immagini, situazioni, gesti. Creano nuovi significati, nuovi modi di affrontare la realtà precostituita e l’ordine del nostro contesto globale e lo fanno seguendo la costruzione proposta dal curatore: ogni artista è presente sia all’Arsenale sia ai Giardini. Dalle parole del Presidente Paolo Baratta: «Sono trascorsi vent’anni dalla presentazione, in queste stesse stanze, della mia prima Mostra (da Presidente) dopo l’importante riforma della Biennale del 1998. Posso dirvi sono stati tutti very interesting times. (…) Per essere brevi: cerchiamo di essere sensibili allo spirito del tempo ma fermi su alcuni punti. Innanzitutto siamo una mostra Internazionale, una mostra Internazionale complessa nella quale numerose mostre promosse dei paesi partecipanti dialogano in rapporto dialettico le une con le altre, e tutte insieme stanno in rapporto dialogico con la mostra Internazionale da noi organizzata con il nostro curatore, mostra che a sua volta deve essere aperta e senza confini di sorta. Ricordo a questo proposito che la parola ”aperto” più di ogni altra risuonava tra noi negli anni iniziali e caratterizzò le nostre scelte nel 1999 e 2001: ”aprire” nuovi spazi, ”aprire” la mostra verso una rappresentazione dell’arte come fenomeno dell’umanità». Ralph Rugoff invece dice: «Infine May You Live in Interesting Times è fondata sulla convinzione che la felicità umana deriva da conversazioni reali, perché in quanto animali sociali siamo spinti a creare, trovare significati e metterci in relazione l’uno con l’altro. In questa luce, la Mostra si propone di sottolineare l’idea che il significato delle opere d’arte non risiede tanto negli oggetti quanto nelle conversazioni – prima fra l’artista e l’opera d’arte, poi fra l’opera d’arte e il pubblico, e poi fra pubblici diversi. In fin dei conti, la Biennale Arte 2019 aspira a questo ideale: ciò che più conta in una mostra non è quello che viene esposto, ma come il pubblico possa poi servirsi dell’esperienza della mostra per guardare alla realtà quotidiana da punti di vista più ampi e con nuove energie. Una mostra dovrebbe aprire gli occhi delle persone a modi inesplorati di essere al mondo, cambiando così la loro visione di quel mondo».

Parlando della parte della Biennale che si svolge ai Giardini dobbiamo citare il fatto che una menzione speciale è stata attribuita alla Partecipazione Nazionale del Belgio con l’installazione dal titolo Mondo Cane di Jos de Gruyter & Harald Thys il cui Commissario è Fédération Wallonie-Bruxelles mentre il Curatore è Anne-Claire Schmitz. Questa la motivazione: ”Con il suo humor spietato, il Padiglione del Belgio offre una visione alternativa degli aspetti, spesso trascurati, dei rapporti sociali in Europa. L’inquietante rappresentazione di una serie di personaggi che hanno l’aspetto di fantocci meccanici ispirati a stereotipi di folklore fanno sì che il Padiglione agisca su vari registri creando due, se non più, realtà parallele”. Mentre il Leone d’Oro per il miglior partecipante è andato ad Arthur Jafa per il suo film del 2019 The White Album che è in egual misura un saggio, una poesia e un ritratto. Jafa utilizza materiale originale e d’appropriazione per riflettere sul tema razziale. Oltre ad affrontare in modo critico un momento carico di violenza, nel ritrarre con tenerezza gli amici e i familiari dell’artista il film fa anche appello alla nostra capacità di amare. E una menzione speciale è stata assegnata a Teresa Margolles, per le sue opere acute e commoventi che trattano il dramma delle donne gravemente coinvolte dal narcotraffico nel suo Messico, creando potenti testimonianze che spostano strutture esistenti nel mondo reale alle sale espositive.

Arrivando alla Biennale Giardini colpisce l’opera di Lara Favaretto: una nebbia circonda l’entrata del Padiglione centrale quasi a creare un’inclusione, un coinvolgimento emotivo. Coinvolgimento che si ritrova nella prima opera che ci appare all’interno dove l’artista Antoine Catala esprime una riflessione sul linguaggio come comunicazione che dipende dalle modalità con cui il messaggio si esprime. In una sala che si apre quasi inaspettatamente, un enorme robot con un braccio meccanico dirige un liquido di colore simile al sangue che cerca di sfuggire: gli artisti Sun Yuan e Peng Yu hanno voluto alludere all’arte, alla sua impossibilità di essere incasellata. E meccanismi si rivelano nella motocicletta da corsa tagliata in due dell’artista Alexandra Birken.

Un meccanismo fa muovere un cancello nell’opera di Shilpa Gupta, questo cancello sbatte violentemente contro il muro: è un’azione che stimola riflessioni sulla sicurezza, la legalità e il confine dei territori. Molti lavori ai giardini si occupano del clima e dei disastri ambientali: nel Padiglione centrale l’opera sulle barriere coralline di Christine e Margaret Wertheim; mentre il Padiglione dei Paesi nordici è totalmente dedicato al rapporto tra trasformazioni climatiche e intervento umano; nel Padiglione del Giappone le pietre dello Tsunami mutano a testimoniare disastri ambientali e la forma di vita umana che vi deve convivere. Molte volte le donne sono protagoniste portando avanti una poetica al femminile. Nel padiglione centrale l’artista nigeriana Crosby ritrae interni domestici dove spesso compaiono lei e la sua famiglia realizzando parti in cui inserisce giornali, scarti personali, immagini prese da internet andando ad indagare il proprio mondo. Altre donne indagano la femminilità: Zanele Muholi combatte il silenzio imposto e l’invisibilità della donna, Mari Katayama si ritrae con oggetti da lei stessa realizzati mettendo in evidenza il suo corpo caratterizzato dalle molte protesi; mentre Frida Orupabo si concentra sul corpo femminile di colore nero unendo fotografie trovate ed altre del suo archivio personale realizzando così collage digitali che fanno riflettere su etnie, sessualità, identità, violenza coloniale; nell’opera di Martine Gutierrez, l’artista si fotografa nelle vesti di divinità antiche azteche preispaniche che dopo la conquista vennero condannate come demoni; il padiglione coreano si distingue per la ricerca di genere: varie artiste affrontano varie tematiche al femminile come l’approfondimento di un tipo di teatro tradizionale coreano in cui partecipano sole donne, o ancora, l’attenzione alla coreografa ballerina contemporanea e molto controversa Choi Seung-hee, oppure l’attenzione all’antico mito coreano di Bari in cui la figlia si sacrifica per i propri genitori e diventa una divinità che media tra la vita e la morte.

Due opere agli antipodi riflettono sulla contemporaneità che evolve: Bob di Ian Cheng è una forma di intelligenza artificiale che è influenzata dall’uomo ed è in grado di imparare e bilanciare i propri desideri soltanto attraverso il tempo e l’esperienza; mentre Yin Xiuzhen ha ricreato il primo satellite che la Cina ha mandato con successo nello spazio nel 1970, con metallo, resti variopinti dei vestiti usati e la punta del satellite è stata sostituita con un tubo di scappamento a ricordare il problema dell’inquinamento. Molto interessante è il padiglione di Israele dove l’artista Aya Ben Ron simula un vero ospedale, il Fiel Hospital. Qui si deve prendere un vero numero per l’accettazione, aspettare in sala d’attesa vedendo un video che spiega tutta l’operazione finché non arriva il tuo turno e ti si conduce verso una esperienza immersiva. Il concetto è quello di mettere l’arte al servizio della volontà di curare mali sociali attivando racconti di tragiche storie vere che sembrano rimanere inascoltate. Dopo la Biennale l’artista porterà il progetto in altre sedi nel mondo. Deludenti i Padiglioni di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Espressivo il Padiglione Danese dove attraverso video e scultura ci si addentra in un mondo futuro dove la città di Betlemme è stata distrutta da un disastro ecologico. Sono rimaste vive una donna e la ragazza depositaria del compito di ripiantare e ripopolare Betlemme sebbene la ragazza non abbia mai visto l’esterno del vivaio sotterraneo dove vivono: qui l’artista Larissa Sansour affronta il tema della memoria collettiva. Il Padiglione Germania pensato dall’artista Natascha Suder Happelmann crea una riflessione culturale sulla condivisione sociale e sulle minacce del nostro mondo contemporaneo come il cambiamento climatico. Il Padiglione Venezia ci pone di fronte ad un’intelligente rappresentazione delle particolarità di Venezia: da notare l’installazione Plastique Fantastique dove si può entrare in un tunnel e passeggiare sull’acqua senza bagnarsi e il poetico video di Ferzan Ozpetek e Kascia Smutniak sulla città.

Un’ immersione nel passato caratterizza il Padiglione della Repubblica Ceca, dove sono esposte le opere di Stanislav Kolìbal – pioniere dell’avanguardia Ceca – come fosse una retrospettiva con suoi lavori del ’60 e del ’70. Di carattere completamente diverso il Padiglione del Brasile dove il duo Bàrbara Wagner & Banjamin de Burca creano un video in due canali sulla Swinguerra, un fenomeno culturale sorto nella città di Recife dove ballerini si preparano a gareggiare in competizioni annuali. Alla base di queste competizioni vi sono la ricerca di integrazione sociale e la ricerca di un’identità. Infine il Padiglione della Svizzera invita a guardare un video all’interno di un ambiente che può sembrare un locale notturno. Protagoniste del video cinque performer che attraverso le loro azioni invitano a riflettere e ad opporre una resistenza alla politica attuale che pone forze regressive e reazionarie che, tra l’altro, disegnano un mondo diffidente verso l’altro e il diverso.

Tutti questi interventi dove sono protagonisti conservazione climatica, preservazione del mondo femminile, azione di resistenza politica e sociale, preservazione sociale, memoria collettiva, tempo e progresso tecnologico, si misurano con il tema della Biennale d’arte di quest’anno. Una Biennale che vede artisti e curatori centrare in maniera intelligente le tematiche alla base dell’esposizione.

(Foto di Andrea Avezzù, Italo Rondinella, Francesco Galli, Jacopo Salvi).

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