IOCOSE

Direttamente dalle nostre pagine del giornale vi proponiamo un articolo pubblicato sul numero 112.

Quattro ragazzi, un collettivo di artisti nato a Bologna una decina di anni fa. Questo il collettivo IOCOSE che fa delle nuove tecnologie l’elemento centrale della sua riflessione.

Per rispondere a quale bisogno è nato il collettivo?
«Sicuramente non siamo nati per rispondere a un bisogno. Credo che il motore sia sempre stato la voglia di esprimere qualcosa che a parole non rendeva. All’inizio non sapevamo cosa fosse, oggi abbiamo le idee più chiare che sintetizziamo con il termine Post Fail, coniato nel saggio-manifesto Art After Failure, che riassume il nostro interesse per le narrazioni teleologiche sullo sviluppo tecnologico. Crediamo che queste narrazioni, siano esse entusiastiche, distopiche o pessimistiche, siano destinate a fallire nel momento stesso in cui vengono narrate, lasciando spazio a una realtà e a un rapporto quotidiano con l’innovazione tecnologica che è allo stesso tempo più complesso, sfaccettato e tendenzialmente banale».

Drone Memorial, con cui avete partecipato al Talent Prize, è parte di un progetto più ampio.
«Sì, è l’ultimo lavoro incluso in In Times of Peace assieme a Drone+ e Drone Selfies. In Times of Peace è una collezione di artwork che esplorano la vita di un drone a guerra conclusa e in tempo di pace. L’espressione “in times of peace” fa riferimento alla teoria della logistica di Paul Virilio che, citando un testo del Pentagono degli anni ‘40, nota come la logistica fosse definita come la capacità di una nazione di trasformare il proprio potenziale in una forza armata, sia in tempi di pace che in tempi di guerra. Ma che cosa significa vivere “in tempi di pace”? E cosa significa nello specifico per un drone? È una domanda difficile a cui rispondere dato che non abbiamo idea di come potrebbero essere questi fantomatici tempi di pace né sappiamo come li vivremmo noi umani. Dato che i tempi di pace stanno diventando una condizione strategica per dispiegare tecnologie e ideologie sviluppate in tempi di guerra, noi guardiamo alla vita dei droni in cerca di risposte».

I droni ormai vengono introdotti negli ambiti più svariati. Pensate si tratti di un’innovazione tecnologica utile o al contrario pone dei problemi legati alla privacy e alla libertà individuale?
«Non esiste una demarcazione netta tra gli aspetti positivi o negativi (per chi, poi? l’invasione della privacy è considerata più che positiva da molti). Quello che ci interessa sono le promesse e il modo in cui queste visioni sul futuro vengono presentate, da chi e in quali circostanze. Ci interessa il modo in cui dei pezzi di plastica, silicone, lenti ottiche e gps diventino cruciali per immaginare il futuro della nostra civiltà».

Il vostro lavoro ha diversi punti di connessione con i protagonisti della net art negli anni ’90: yes man e 0100101 1 10101 101.0rg. Vi sentite in continuità con quella stagione artistica o ritenete che la vostra opera sia espressione di un momento ed esigenze diverse?
«Quello che citi è sicuramente il sostrato da cui siamo emersi, in cui ci siamo formati, per così dire. Sono stati i nostri primi riferimenti, e lo sono tutt’ora per tanti aspetti. In generale siamo probabilmente vittime della stessa depressione che ha subito quella serie di movimenti, dalla net.art al culture jamming. In quell’epoca un altro mondo era possibile, e manomettere simboli e installare virus sembrava aprire ampie strade ricche di possibilità. Oggi quelle stesse tecniche vengono usate dal nuovo fascismo, e a noi restano le lucine colorate del post-internet. Negli ultimi anni IOCOSE è circondato più che altro da questo senso di impotenza. La maggior parte dell’arte che conosciamo sembra quasi volere intrattenere gli ospiti di una casa di riposo dove persino le questioni prettamente politiche vengono edulcorate e ridotte ad hashtag perché svuotate del loro potenziale. Ecco, noi cerchiamo di fare arte in queste condizioni qui. E non è facile, signora mia, ci creda».

Almeno in Italia, tolti alcuni rari esempi, la net art continua ad avere un ruolo abbastanza marginale nel panorama artistico.
«È peculiare che tanta net art sia nata in Italia, o per opera di artisti italiani, eppure abbia ottenuto una così scarsa attenzione da parte delle istituzioni e del mondo dell’arte italiano. Crediamo che il problema sia dovuto a molti fattori, di cui forse la componente culturale è quella principale e più preoccupante. In Italia c’è ancora uno scarsissimo interesse e attenzione da parte sia delle istituzioni che del mercato dell’arte per questo genere di ricerca. Lo stesso vale se si parla di formazione: pochissime sono le scuole in grado di formare seriamente artisti o critici e curatori, che sappiano affrontare con consapevolezza le questioni messe in campo dal digitale. È un fenomeno non solo italiano, ma che sicuramente in Italia è più evidente e grave che altrove. Se si vuole parlare davvero di contemporaneo è impossibile prescindere da questi temi, e prima o poi anche l’Italia dovrà farci i conti, a meno che non si voglia rimanere ancorati ai fasti passati».

È cambiato, e in che modo, il vostro lavoro in seguito alla diffusione massiccia dei social network negli ultimi dieci anni? Vi ha fornito nuovi spunti?
«Ci sta dando la nausea essere completamente sommersi di link a testi, video, immagini o cose interessanti. Siamo arrivati al punto di odiare l’aggettivo interessante e i contenuti interessanti, ma questo è quello che i social network riescano a veicolare meglio, e ovviamente anche noi come tutti li usiamo quotidianamente. Quindi sì, ci hanno decisamente influenzato. Più che spunti creativi, ci danno continuamente esempi di quello che non vogliamo fare o non vogliamo essere. Che vale tanto quanto uno spunto creativo. Il No Tube Contest, un concorso che organizziamo dal 2009 in cui vince chi riesce a trovare il video di minor valore su YouTube, crediamo sia il progetto che meglio chiarisce quale sia il nostro rapporto con i social network.

Progetti futuri?
«Stiamo producendo nuovi artwork che ruotano attorno all’orbita del Post Fail e che presenteremo nel 2018. Abbiamo in programma alcune mostre importanti: la prima inaugura a inizio dicembre, al Fotomuseum Winterthur, e una che verrà annunciata presto si terrà nel 2018 a Düsseldorf. In generale il nostro obiettivo è quello di continuare a muovere il mondo in avanti, un oggetto alla volta».

BIO
2006
Nasce a Bologna il collettivo IOCOSE formato da Matteo Cremonesi, Filippo Cuttica, Davide Prati e Paolo Ruffino

2011
Prime mostre personali alla Fabio Paris Art Gallery di Brescia e Aksioma Project Space di Lubljiana in Slovenia

2013
Presentano i loro lavori a Transmediale Festival al Haus der Kulturen der Welt di Berlino.

2015
Collettive al Boghossian Foundation di Bruxelles e Museum Angewandte Kunst di Francoforte con la serie fotografica Drone Selfies

2017
Vincono il premio speciale UTOPIA al Talent Prize 2017

Info: www.iocose.org

DRONE MEMORIAL
Drone Memorial è un memoriale che commemora i droni caduti durante operazioni militari. È una scultura dalla forma stilizzata di un drone militare che si schianta al suolo. Il lavoro è realizzato in plexiglass specchiato e sulle ali riporta incisi i nomi identificativi dei modelli dei droni caduti, il luogo e la data della caduta. Il memorial è inoltre dotato di un modulo GPS che trasmette le coordinate della sua posizione al sito dronememorial.org. L’opera, parte del più ampio progetto In time of Peace, ha partecipato al Talent Prize vincendo il premio Speciale Utopia, istituito quest’anno per la prima volta.