Break, istantanee di cotone

Carla Mura intesse trame misteriose, fili di cotone che s’intrecciano come colori silenziosi dell’anima. L’artista srotola meticolosamente il suo filo di Arianna per offrire allo spettatore una pausa razionale, una fuga necessaria che mai si discosta dalla sostanziale grammatica del reale. In occasione della mostra Break alla Mirafiori Galerie di Torino, a cura di Anja Gunjak, visibile fino al prossimo 13 novembre, l’artista parla del suo vissuto come parte integrante della sua opera. 

I tuoi numi tutelari nell’arte sono il giapponese Minjung Kim e l’argentina Alejandra Padilla, tuttavia il tuo lavoro risulta concettualmente più intimista e volto all’empatia. 
«Il mio lavoro è intimista ed essenziale, e volto a cogliere la pura rappresentazione del presente: è come se un mio quadro, benché formalmente differente, fosse una fotografia, un’istantanea. Nella mia ultima mostra il titolo richiama la pausa di riflessione che chiedo allo spettatore, necessaria ad un’attenta lettura delle mie opere. C’è da dire che è importante approfondire l’essenza degli elementi non solo naturali, ma anche delle costruzioni architettoniche, di quei legami con l’industrializzazione senza la quale non conosceremmo il mondo per come è oggi: solo in questa direzione l’arte può essere strettamente contemporanea. Per me l’arte è un testamento e come tale va letto».

Nel tuo lavoro è interessante osservare come uno scorcio architettonico possa rappresentare l’allegoria dei sentimenti, come una radiografia stilizzata dell’anima. Come spieghi il legame tra fili come linee di architettoniche e colori dell’animo umano?
«La radiografia è appunto essenza, ed è questo il mio filo conduttore, scevro di orpelli e con logica netta. Il nesso tra i fili di cotone che delineano le architetture e le emozioni è forte e tangibile, preciso. Il mondo nel quale ognuno di noi ha incamerato le esperienze si risolve in un’accurata riflessione, in una sinestesia cromatica». 

L’idea di lavorare con il filo di cotone è divenuta nel corso degli anni una pratica comune a diversi artisti, la tua scelta di sostituirla all’uso dell’olio e dell’acrilico risulta però decisamente personale. Come nasce quest’esigenza?
«All’inizio della mia carriera l’uso dell’acrilico mi ha permesso di realizzare opere astratte materiche, la mia pittura risultava più gestuale ed espressiva, legata alle esperienze relazionali e visive vissute nel corso della mia gioventù. Successivamente sono passata al filo di cotone per il desiderio di un lavoro maggiormente maturo e riflessivo, e soprattutto per poter avere tra le mani un materiale leggero: la leggerezza come dato funzionale ha rispecchiato dai primi anni duemila un’esigenza tattile e psicologica che tutt’ora mi appaga pienamente. È un modo di fare arte ma anche di vivere: quella leggerezza che deve essere intensa e mai frivola». 

Nietzsche sosteneva che: “abbiamo l’arte per non dover morire di realtà”, così anche il titolo della tua mostra, Break, appare come un invito a trovare una fuga possibile e necessaria alla sopravvivenza, proprio come nel mito filo di Arianna. 
«Break incarna una possibile e senz’altro necessaria via per la sopravvivenza interiore, lo stato appunto di leggerezza che solo un’arte consapevole ti può dare. La dimensione del reale è complessa, soprattutto in questi ultimi anni, e risulta difficile districarsi tra i tanti aspetti che la vita ci obbliga a gestire. L’arte come condivisione e dialogo fornisce una risposta senza dubbio chiarificatrice e risolutrice. Poiché siamo noi stessi a costruire la dimensione del reale, dobbiamo vivere costantemente “coscientemente leggeri”. Il mio filo è sicuramente analogo alla via d’uscita che ritroviamo nella leggenda di Arianna, è la salvezza. Il filo costruisce l’opera, l’opera incarna la bellezza e la conoscenza, che sono salvatrici».

Info: www.carlamura.com

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