Le avventure di Pinocchio

Roma

«Una storia che è stata letta anche da chi non l’ha letta, perché è entrata nell’immaginario di chiunque l’abbia anche solo vagamente ascoltata». La storia alla quale fa riferimento l’illustratore Marco Corona, classe 1967, è quella di Pinocchio, classico della letteratura per ragazzi, tradotto in 240 lingue e illustrato da grandi esponenti dell’arte: da Mario Schifano a Roberto Innocenti, da Benito Jacovitti a Emanuele Luzzati, da Lorenzo Mattotti a Gianluigi Toccafondo a Roland Topor. Adesso Le avventure di Pinocchio, il fortunato romanzo scritto da Carlo Collodi nel 1881, ritorna in una pregevole versione in cartonato (Rizzoli Lizard, 320 pagine, 22 euro) con illustrazioni dello stesso Corona. Dalla carta alla televisione – memorabile il Pinocchio diretto da Luigi Comencini nel 1972, con un cast d’eccezione composto da Nino Manfredi (Geppetto), Gina Lollobrigida (fata), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (il gatto e la volpe), Vittorio De Sica (giudice), un po’ meno il film realizzato trent’anni dopo da Roberto Benigni – il burattino più famoso al mondo viene riletto dall’artista piemontese in modo intenso e viscerale, attraverso quarantadue tavole in bianco e nero. Ironico e un po’ irriverente fin dal testo introduttivo («certo Geppetto non avrebbe mai immaginato di diventare padre di un figlio minchione e ingrato»), Corona dimostra abilità e coraggio nel misurarsi con uno dei pilastri dell’arte letteraria nel mondo. Anche stravolgendo il racconto tradizionale, che in questo caso «improvvisamente sbanda, deraglia, imbocca strade diverse, costruisce da sé nuovi binari da percorrere. Immagina nuove avventure possibili e impossibili». Fanno sorridere, poi, le invettive dell’illustratore contro il grillo parlante, «che ha una vocina così petulante e ossessiva che finisci per odiarlo. Puoi anche ucciderlo con una martellata, ma la sua schifosa ombra continuerà a parlare, questo è sicuro». Amabilmente sopra le righe ma senza eccedere, Corona – che dedica il volume a suo padre, falegname, «che una volta da ragazzo ha dormito dentro una bara» – rivendica il diritto di sentirsi «libero di immaginare». Anche quando ammette che «a ogni bugia che racconta, a Pinocchio cresce il naso. Lo stesso accade al mio di burattino, ma solo per le bugie di piccolo taglio. Alla fine della mia storia Pinocchio non diventerà un bambino, il suo destino è di restare un burattino di legno. Così ho deciso, non chiedetemi il perché».

Info: www.rizzolilizard.eu

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