Generazione critica

Possiamo individuare, a colpi d’accetta, tre personaggi nel mondo dell’arte: pubblico, artista e critico. Senza dubbio chiaro lo scopo dei primi due. Meno trasparente l’obiettivo dell’ultimo. Cosa fa, o dovrebbe fare, il critico? Truffaut diceva che il regista è un uomo a cui fanno sempre delle domande. A volte conosce le risposte, altre improvvisa. Il critico, con l’accetta sopra, gli è parente. L’unica differenza è che è lui stesso farsi delle domande. Se la canta e se la suona, direte. Se la canterebbe e suonerebbe pure, diciamo noi, se solo sapesse o improvvisasse le risposte.

Il libro Generazione critica, la fotografia in Italia dal Duemila edito da Danilo Montanari, è in questo senso emblematico. L’agile volumetto, 61 pagine, è pieno di problemi spesso rimasti insoluti, a cominciare dalla quarta di copertina: ”Che cosa è diventata l’arte dopo la fotografia? È ancora attuale una riflessione sulla fotografia che metta in discussione il suo legame con il dato reale? La spettacolarizzazione che investe la contemporaneità è un dato neutro rispetto al mondo dell’arte? Lo sguardo periferico si qualifica come caratterizzante?”

Ma un critico, per riprendere Truffaut, non è un regista, a lui non è imposta nessuna risposta. Di più, la risposta giusta chiuderebbe un argomento, metterebbe la parola fine a un dibattito negandogli sviluppi. Più che la soluzione esatta, al critico è richiesto il problema giusto, più che la risposta, insomma, la domanda. Il libro Generazione critica, la fotografia in Italia dal Duemila è in questo senso emblematico: la ricerca di questioni attuali che possano indirizzare il corso di un dibattito.

Uno sguardo del presente sul presente. È così che Marcella Manni nella presentazione riassume il punto di partenza della pubblicazione. Sette autori per altrettanti interventi, più un saggio scritto a più mani a mo’ di introduzione dove vengono citati come padri del contemporaneo: Franco Vaccari, Joachim Schmid e Armin Linke. Giovani critici nati dopo gli anni Settanta sono stati chiamati a presentare autori loro coetanei attivi a partire dagli anni Zero. Una fotografia della scena contemporanea sviluppata su 60 pagine, un ventaglio eterogeneo di nomi e tendenze che ha limiti e pregi di un’analisi in tempo reale del tempo reale. Dopo un’introduzione, con lo scopo di segnare un argomento, il critico propone nomi di fotografi legati alla tematica sviluppata. Una pubblicazione giovane non solo nei contenuti e negli intenti ma anche nei riferimenti, tra i critici citati troviamo Roberta Valtorta, Luca Panaro (presente nel testo in veste di curatore e critico), Valentina Tanni, Fred Ritchin, Marinella Paderni, Claudio Marra a discapito dei classici ancora intoccabili e sempre presenti come Roland Barthes, Jean Baudrillard, Susan Sontag, Pierre Bourdieu e Guy Debord (in realtà citato solo nel saggio di Sergio Giusti).

Particolare che denota l’esistenza di una scena contemporanea, segnata forse da un forte grado di autoriflessione come scrive Elisa Medde: ”Se la fotografia è in crisi o moribonda, anche la critica non se la passa tanto bene, verrebbe da dire. Cioè chi e che sta attraversando una crisi: la pratica in quanto tale, la qualità della pratica, o la nostra comprensione della stessa?”. Scena consapevole delle proprie origini e del proprio presente: ”Spesso ci chiediamo – scrive Panaro – perché all’estero la nostra arte più recente è poco considerata. Fermiamoci un attimo pensare; ma perché dovrebbe esserlo se i giovani continuano a fare fotografie prendendo a modello la scuola di Dusseldorf, la scuola di Helsinki, piuttosto che la scuola emiliana, quella che nel nostro paese ha caratterizzato l’esperienza di Viaggio in Italia?” Una scena, così, che punta alla domanda giusta e che lascia la risposta a chi si accontenta di un punto.

Info: www.danilomontanari.com

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