De Filippis, astrazione e realtà

Ha inaugurato la personale dal titolo Il Male Oscuro della pittura dell’artista Valerio de Filippis negli spazi dello studio Abate nel quartiere romano di San Lorenzo. De Filippis utilizza la pittura nella volontà propositiva di dare luce alla materia, la sua lotta tra astrazione e figurativismo è il dogma imperante dell’estetica su cui fonda la sperimentazione visiva. L’artista, di recente trasferitosi a Berlino, adotta il medium pittorico per incarnare i drammi di un’interiorità conflittuale innescando nello spettatore un edonismo masochista. Abbiamo incontrato de Filippis per comprendere il suo percorso figurativo, cercando di sondare le dinamiche concettuali che hanno generato la sua estetica.

In questa contemporaneità dove i mezzi linguistici di matrice artistica sono molteplici e dalle innumerevoli declinazioni, cosa significa per te esprimere il tuo personale vocabolario creativo attraverso la pittura?

«Significa e rappresenta la possibilità di esprimermi al meglio, la pittura è per me un mezzo ottimale di comunicazione. A partire dal 2007 ho sperimentato differenti medium espressivi, come ad esempio la scultura, l’installazione, la performance e la video art. Si tratta di esperienze occasionali all’interno di quello che posso definire il mio mestiere e la mia ricerca. I risultati sono stati apprezzabili ma ritengo che la pittura abbia ancora molto da dire, sia in termini di comunicazione che in termini di tecnica. Sono semplicemente di fronte a divisioni più nette se consideriamo l’evoluzione dei linguaggi espressivi più recenti. L’imperativo odierno è sperimentare, viste le infinite possibilità che un artista ha di mescolare diversi linguaggi espressivi. Recentemente, attraverso la performance, ho usato il mio corpo in modo estremo. Sono stato e sono tutto il suo contrario, ma sempre autentico: ho fatto e detto le cose spontaneamente. E questa è la mia unica forma di coerenza. Probabilmente per tale motivo il Professore Duccio Trombadori disse che dipingo «con sprezzo dichiarato delle buone maniere». Non ho mai rispettato il mio pubblico, ciononostante sono amato almeno quanto sono odiato».

Nel tuo percorso vi è una sorta di lotta, una dicotomia che si sviluppa tra figurativismo e astrazione, quale di queste due componenti prevale nel tuo lavoro?

«La mia pittura tutto può essere fuorché potersi definire conclusa. C’è questo magma che fagocita l’immagine, anno dopo anno la consuma. Ma il corpo resiste. La lotta che deriva dalla contraddizione tra astrazione e figurativismo è il sintomo di un conflitto interiore che a sua volta genera altre ostilità, ognuna delle quali possiede segni specifici e si gioca sul terreno della visione e del sogno contro quello che definisco il mio piacere di dipingere con tecnica figurativa, egoistico e morboso, fobico, nella misura in cui un quadro che sto per concludere reca in sé un virus depressivo».

Quali soggetti divengono oggetto della tua urgenza espressiva tradotta sottoforma pittorica?

«Tutto quello che mi devasta la psiche è oggetto dei miei quadri, oggetto eletto, unico e solo. Le cose belle non le rielaboro, non ne sento il bisogno. Io vomito le mie ossessioni, investo e contamino l’anima dei miei fruitori. Chi ama il mio lavoro è malato almeno quanto me, riconosce archetipi dolorosi nella propria esperienza di vita e masochisticamente ne trae emozione e dunque piacere».

Che tipo di influenze iconografiche hanno suggestionato il tuo percorso estetico e culturale?

«Fui folgorato all’età di dodici anni da L’enigma dell’ora di Giorgio de Chirico, e successivamente da tutti gli altri Enigmi del maestro, i quali in quanto tali e irrisolvibili non cessano di esercitare un fascino senza limiti. Per quanto riguarda la contemporaneità e il mondo che abbiamo davanti agli occhi, considerando che per un pittore o, in generale, per un artista ogni cosa può essere eletta o ridotta ad icona, oggi tutto può essere per me stimolante, come esperienza iconografica suggestionante, una baby squillo o un barbone per me possiedono la medesima in potenza».

Studio Abate, via dei sabelli 16, Roma; info: www.claudioabate.com

Articoli correlati