Spalletti, l’armonia del bianco

Nata da una collaborazione dei curatori Danilo Eccher, Anna Mattirolo, Andrea Viliani e Alessandro Rabottini, le grandi mostre del Maxxi di Roma, della Gam di Torino e del Madre di Napoli, dedicate a uno dei maggiori artisti internazionali, Ettore Spalletti, dal titolo Un giorno così bianco, così bianco, hanno aperto un progetto espositivo di grandissimo interesse, forse unico in Italia. Un’occasione unica per comprendere l’opera di un maestro dell’arte contemporanea. Fino al 29 giugno, infine, indipendentemente da questo progetto, in collaborazione con le Gallerie d’Italia di Banca Intesa, la Galleria San Fedele di Milano ha presentato alcuni lavori del maestro accostati a fondi oro medioevali.

Attraverso un’indagine originale sulla percezione del colore, Spalletti riflette su di un tracciato compiuto dal Novecento, in cui l’arte ha proceduto verso una progressiva astrazione dell’immagine, alla ricerca di una dimensione trascendente, assoluta. È la ricerca dell’invisibile nel sensibile. È questo il cammino elaborato dalle avanguardie storiche di inizio Novecento – è sufficiente pensare al Suprematismo russo o al Der blaue reiter – per le quali il colore occupa un posto fondamentale nella sua capacità evocativa, spirituale, per cui l’immagine si fa confine, soglia, porta tra finito e infinito. È questa una riflessione che prosegue con le indagini compiute durante la seconda metà del Novecento, non si possono dimenticare le ricerche di Mark Rothko o quelle monocromatiche di Yves Klein, fino alle realizzazioni di Dan Flavin.

Nel solco di queste ricerche, sin dagli anni ’70 Spalletti individua una tecnica particolare. Realizza un impasto di gesso preparatorio e colla, steso ancora caldo sulla superficie da dipingere, sia essa tela, legno o una parete. Quando è ancora fresco, il pigmento è aggiunto alla superficie e, una volta assorbito, conferisce colore a tutto lo spessore. In realtà, non vediamo il colore utilizzato, in quanto viene restituito in tonalità differenti, secondo la quantità di bianco aggiunta nell’impasto. Il rosso diventa così rosa, il nero grigio e il verde si schiarisce. I colori “inventati” da Spalletti sono dunque particolari tonalità di grigi, di rosa, di azzurri, ma anche di arancio o di giallo. L’oro è infine spesso utilizzato, per suggerire una dimensione di eterno, di trascendente, di ulteriore. Alla fine, si procede a un’abrasione della superficie dipinta, che polverizza parte del colore e lascia dietro di sé un piano levigato. Il colore è applicato a solidi geometrici di legno o di gesso, come cilindri, coni, tronchi di cono rovesciati, semisfere, in modo da realizzare volumi puri, essenziali. Talvolta è steso su tavole di forma quadrangolare, appoggiate alla parete oppure aggettanti dal muro.

Tutta la sua opera suggerisce serenità, armonia. Così, i suoi volumi semplici e puri si rivelano come impalpabili masse atmosferiche, come luminosi brani di cielo. Non solo. In questi ultimi anni, Spalletti ha creato splendidi spazi di silenzio, di sospensione, di meditazione. Come l’obitorio che l’autore realizza a Garches negli anni ‘90, vicino a Parigi. Privo di ogni retorica tragica, è un ambiente in cui il colore azzurro sprigiona tutta la sua forza espressiva, diventando architettura. È come se lo spazio si facesse qui colore, per accogliere la sofferenza di chi ha perduto il proprio caro, consegnandolo nella pace. Nelle sue ultime «cappelle», dalle pareti rivestite di pannelli bianchi, rosa o azzurri, con soffitti luminosi che diffondono in maniera omogenea il colore, l’artista ci introduce in spazi assoluti, atemporali. Come se dischiudessero apparizioni del divino che ci avvolgono, ci abbracciano. In essi, non ci muoviamo più infatti in una prospettiva centrale di tradizione rinascimentale, ma in una prospettiva aerea. Non abbiamo più di fronte a noi lo spazio, ma vi siamo immersi. Lo abitiamo, lo viviamo. Estetica e teologia si fondono in un’unità indissolubile. Il colore è vissuto come esperienza totalizzante. Lo spazio è abitato da una energia interna che lo fa espandere, dilatare, vibrare. Il colore riceve la luce, per poi diffonderla, irradiarla, sprigionarla dalle pareti. Ogni linea geometrica appare cancellata, ogni spigolo annullato. Come nella spazialità bizantina, la diffusione luminosa appare eliminare ogni chiaroscuro, per fare posto a un senso di dolcezza, di riposo. Attraverso la loro semplicità e purezza, questi spazi invitano al silenzio, alla preghiera. È un vero peccato che Ettore Spalletti non abbia mai avuto la possibilità di confrontarsi con spazi liturgici e declinare la sua poetica in spazi confessionale, come ha già fatto, per esempio, per la realizzazione di alcune splendide immagini dell’evangeliario ambrosiano. Avrebbe certamente qualcosa di molto importante da dirci.

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