Cemento armato

L’architettura è una disciplina astratta. E possiamo anche stare qui e raccontarci che non è vero; che alla fine stiamo parlando di muri, di finestre di tetti, di un luogo, insomma, dove non bagnarsi se piove, non morire congelati se fa freddo; di una struttura, in fin dei conti, che tutto è fuor che astratta perché concretamente, appunto, occupa uno spazio e soprattutto, direte, ha uno scopo chiaro e decisamente funzionale. Tutto vero, verissimo. Eppure sarebbe come dire che la cappella Sistina è bella, non di certo quella che possiamo definire una bugia, ecco. Ma c’è altro, c’è tanto altro, così tanta altra roba che possiamo dire: l’essenziale è invisibile agli occhi.

L’architettura è una disciplina astratta, dicevamo. Se non ci credete vi basta guardare le 34 fotografie di Stefano Nicolini, esposte alla Casa dell’architettura e tutte dedicate alle strutture dell’architetto italo argentino Francisco Salamone. Procediamo con ordine, partiamo dalla tecnica. Il fotografo nel rappresentare le creazioni di Salamone aveva a disposizione un’infinità di tecniche artistiche scelta la fotografia come punto di partenza. Poteva, per dire, scattare in digitale a colori, in pellicola a colori, poteva usare una toy camera, poteva ancora fotografare in digitale in bianco e nero e invece ha scelto la pellicola monocromatica stampata poi su carta baritata, una delle carte più difficili da utilizzare, sicuramente la più pregiata. Credere che la decisione sia legata al caso o al fascino senza fine della grana fotografica sarebbe evidentemente lasciarsi sfuggire qualcosa, ma cosa?

L’architettura è una disciplina astratta e il bianco e nero lo conferma. Nicolini avrà pensato: come faccio a non snaturare l’idea dell’architetto, come faccio a diventare invisibile, come posso riuscire a nascondere il mio punto di vista senza rinunciarci? La risposta è in quelle 34 fotografie in mostra che si pongono sulla scia iniziata da Hilla e Bernd Becher e portata avanti dallo scomparso Gabriele Basilico (tutt’ora in mostra al Maxxi). Tutti fotografi che hanno scelto di trattare l’architettura con il bianco e nero, tutti fotografi che ritenevano inutile riportare anche i colori di un edificio, fotografi che facevano di tutto per rivelare la geometria della costruzione, tentando di far tornare tutto al disegno iniziale, alla pagina bianca segnata dalle righe a matita come a voler dire: l’edificio se costruito o meno non interessa ciò che conta è l’idea.

Ecco perché l’architettura è una disciplina astratta: oltre a non rappresentare nessuna forma nota in natura, ma costruendo assemblando geometrie prime; ogni edificio, per quanto poi diventerà reale, è già completo e finito su quel foglio di carta, realizzarlo o no non è significativo. E questo Nicolini lo sa e lo dimostra con i suoi scatti, puri, asettici come stanze d’ospedale, dediti alla sola ricerca della forma e che trova in Salamone e nel suo cemento armato una spalla perfetta. L’architetto italiano, cresciuto in Argentina, sviluppa uno stile personale che se pur risente dell’influenza dell’architettura fascista e nazista riesce a trovare uno spazio vuoto per inserire una sua firma. Le curve improvvise che spuntano a spezzare linee sembrano la cifra stilistica di Salamone evidente nella torre dell’orologio o nel municipio di Alberti e tanto più esplica quanto più l’occhio del fotografo si posa a rimarcare con il suo sguardo lo sguardo dell’architetto.

Fino al 28 febbraio; Casa dell’architettura, piazza Manfredo Fanti 47, Roma; info: www.casadellarchitettura.it

 

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