Cinema, nuove uscite

Osannato dalla critica cinematografica statunitense approda nelle sale italiane A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis) dei fratelli Coen. Ambientato nel 1961 il film racconta le vicende del musicista folk Llewyn Davis, interpretato da Oscar Isaac, e l’affannosa ricerca di un sogno musicale sullo sfondo del Greenwich village, rinomato quartiere culturale di New York. Ispirato alla vita di Dave Van Ronk, musicista e cantante americano, l’opera di Ethan e Joel Coen rappresenta una corsa incessante verso un successo che non riesce ad arrivare; una ricerca totale e ossessiva da parte del protagonista che con aspetti anche ottusi della propria personalità non è in grado di cogliere strade alternative, anche per via di un certo volere ostinato senza vie di mezzo. Gli aspetti totalitari e senza compromessi del personaggio Llewyn Davis rimandano in qualche modo a quelli della personalità di Tim Hetherington, fotografo di guerra morto nel 2011 in Libia durante la guerra civile e protagonista del documentario a lui dedicato Which way is the front from here? The life and time of Tim Hetherington.

Girata dal collega Sebastian Junger la pellicola ripercorre i momenti più significativi della vita di Hetherington attraverso materiale di repertorio. Un ritratto di un grande uomo che viaggiando nelle zone di guerra cercava in modo spasmodico la verità, attraverso i momenti apparentemente secondari delle persone immerse in quei contesti libici stessi. Nel 2010 realizzò, sempre assieme a Junger, il documentario candidato all’Oscar e vincitore al Sundance film festival Restrepo, basato sulle vicissitudini giornaliere di un gruppo di soldati americani in Afghanistan. The life and time of Tim Hetherington non è solamente un valido e giusto omaggio a un fotoreporter di spessore, ma resta rappresentativo del fatto che la memoria va conservata e immortalata per non dimenticare i profondi squarci che una guerra incide negli animi delle persone coinvolte.

I segni realistici della pellicola di Junger trovano volti fiabeschi e dunque più compatibili con l’intrattenimento attraverso l’opera diretta da Duane Journey, Hansel e Gretel e la strega della foresta nera (Hansel & Gretel Get Baked). Rielaborazione cinematografica della fiaba dei fratelli Grimm, il film narra l’incontro scontro tra la strega Agnes (Lara Flynn Boyle), che per ringiovanire necessita di nutrirsi di giovani corpi umani, e i due adolescenti Hansel (Michael Welch) e Gretel (Molly C. Quinn) rispettivamente fratello e sorella. Il film riempie questa settimana il tassello dell’evasione e del divertimento dai toni horror; Journey realizza un lungometraggio che non tradisce il genere cinematografico per il quale è stato pensato, inseguendo un’ evasione dai toni più riflessivi che riscontriamo nella pellicola dell’esordiente Sydney Sibilia, Smetto quando voglio. Interpretata da Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Valeria Solarino e Pietro Sermonti la commedia è basata sulla storia di Pietro Zinni, brillante ricercatore universitario che dopo essere stato licenziato decide di creare una banda criminale assoldando alcuni dei suoi ex colleghi che, nonostante i titoli professionali, si trovano a dover sopravvivere ai margini della società con lavori fin troppo modesti. Sceneggiato dallo stesso Sibilia il film è imbrattato da pennellate stilistiche che rimandano ai film americani restituendo alla pellicola un qualcosa di originale e che non ridicolizza le vicende narrate. Complici restano la fotografia di Vladan Radovic e il montaggio di Gianni Vezzosi che collaborano alla confezione di un prodotto divertente, scorrevole e che riesce a placare gli animi di alcune situazioni rappresentate che potrebbero incappare nel rischio di risultare eccessivamente grottesche. È curioso che il film riesca a divertire senza sbavature pur trattando realtà che di brioso non hanno nulla; mi riferisco a quelle che la generazione dei trentenni affronta nell’attuale. Forse è proprio questo il motivo per il quale l’opera va vista; riuscire a dare uno schiaffo di cento minuti all’instabilità e al precariato al quale ogni giorno dobbiamo resistere domandandoci quale sia la finestra giusta dalla quale affacciarsi, per riuscire a dare un senso al risanamento del presente e poter guardare ad un futuro in progressione.

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