I Canti della forca

Sfogliando le pagine del delizioso volume Canti della forca (68 pagine, 20 euro), illustrato da Stefano Bessoni per Logos edizioni, uno dei primi rimandi è all’universo affascinante e gotico di Tim Burton. Con ogni probabilità in quel di Londra il visionario regista di Burbank gradirebbe ricevere una copia del volume, un libro che prende il via con una citazione (che, sempre lui, amerebbe) di Friedrich Wilhelm Nietzsche: «In ogni adulto veramente tale si cela un fanciullo e questo fanciullo vuole giocare». Il fanciullo in questione è il filmaker romano Bessoni («scarabocchio, scrivo, faccio film. Vorrei tanto avere un brevetto da palombaro e uno per guidare dirigibili e palloni aerostatici», riporta nella sua presentazione) legato in questa avventura al poeta tedesco Christian Morgenstern – scomparso nel 1914 – alle cui opere Galgenlieder, Palmström e Palma Kunkel il testo è ispirato.

Ma qual è l’anello di congiunzione tra il regista (contemporaneo, per sua e nostra fortuna) del film Imago mortis e il l’autore impressionista? Morgenstern scrisse i Galgenlieder (Canti della forca, appunto) nel corso di un’escursione a Werder, dove giacevano i resti di un vecchio patibolo. Oggi i due universi si incontrano, poiché Bessoni è da sempre interessato al mondo del macabro, del grottesco, dell’horror elegante e mai splatter. Accompagnato da un curioso dvd con un cortometraggio (Gallows song) realizzato in stop motion – una tecnica, neanche a dirlo, particolarmente cara a Burton – Canti della forca orienta il lettore lungo un percorso surreale tra i fratelli della forca («La vita è un tremendo paradosso, e noi penzoliamo dal capestro rosso»), eco delle strampalate storie di un gruppo di impiccati del monte del patibolo. Dal grande Lalula, che ingurgita salumi e che ama vestirsi con i resti dei maiali macellati, a Pauretto, un vecchietto vestito da marinaretto che vive dentro un armadietto («una sera, dopo aver alzato un po’ troppo il gomito, era rimasto accidentalmente impiccato a una corda dell’albero di prua della nave dove era imbarcato come sguattero di cambusa») fino a Sophie, l’assistente del carnefice, «anche se gli impiccati spettegolavano tra loro sul fatto che fosse anche la sua amante». Colori vividi che avvolgono anche gli altri personaggi: da Tulemondo a Mordicchio al piccolo impiccato (un bimbo terrorizzato, che penzola dal capestro chissà da quanto) al quale gli altri impiccati tengono compagnia. Lo consolano quando è triste, giocano con lui quando è sereno, lo coprono quando è freddo. Mostruose, dolci accortezze lo avvolgono. Perché è proprio sulla forca che riusciamo ad essere davvero solidali. Info: www.libri.it

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