Siamo quello che mangiamo?

Quando Feuerbach sosteneva che l’uomo è ciò che mangia era lungi dal voler analizzare, in maniera introspettiva e idealistica, il rapporto dell’uomo col cibo. Piuttosto voleva dare spazio alla sua filosofia materialistica ritenendo che vi fosse un’esatta coincidenza fra gli uomini e ciò di cui si nutrono per vivere. Ma se oggi questa filosofia di pensiero può sembrare obsoleta è pur sempre vero che esiste un rapporto tra l’uomo e il cibo che se non è di biunivoca corrispondenza è quantomeno un rapporto di influenza reciproca. Il cibo che ingeriamo, già di per sé, racconta molto di noi, della nostra storia personale e di quella collettiva dei luoghi in cui siamo nati e cresciuti. Questo è il fil rouge della collettiva Your food curata da Anna Mola, ospitata nei Magazzini dell’arte contemporanea di Trapani fino al 18 dicembre. Uno stuzzicante percorso alla (ri)scoperta del rapporto dell’uomo col cibo in tutte le sue molteplici sfaccettature. Una quarantina le opere esposte, provenienti da diverse parti del mondo. Italia, Lituania, Malesia, Giappone… attraverso il cibo si raccontano, andando a scavare nelle proprie tradizioni e nelle pagine di storia. Così, se si volesse rileggere quell’espressione secondo cui noi siamo quello che mangiamo perché siamo la storia di cosa e di come mangiamo, potremmo anche conoscere il perché in Cina si mangino gatti e cani.

Ma rileggere la propria storia e quella degli altri paesi e ritrovare antiche tradizioni non è che una delle tante declinazioni della mostra. Perché, se il tema del cibo può a prima vista apparire scontato, visto il bombardamento mediatico di trasmissioni di cucina e surrogati, esso va in realtà molto più in profondità rispetto al rito della preparazione di una pietanza. Oltre ad essere un bene primario e un bisogno fisiologico, il cibo è in alcuni casi medicina. Sostanza con cui prendersi cura di sé e degli altri. E inteso in chiave spirituale nutrimento perl’anima. Oppure ancora, su di esso ci si può scagliare fino a odiarlo, fino a volersene privare. E qui torna, con sempre più forza, quella dicitura di Feuerbach. Casi di anoressia e bulimia in cui il cibo viene quasi eguagliato al corpo, al punto da disdegnarli entrambi. Anna Mola decide, però, di andare ancora oltre. Oltre le guerre quotidiane tra i fronti del cibo, dell’anima e del corpo. La curatrice mira a individuare un’affinità tra il cibo e l’arte che superi l’ormai assodata idea che cucinare sia una vera e propria forma d’arte. «L’arte ha in comune col cibo la capacità di veicolare sentimenti ed emozioni. La capacità di far iteragire e favorire la condivisone». Chiarito su più livelli il valore del cibo, il proposito della mostra è quello di mostrare le varie interpretazioni che gli artisti di oggi danno del cibo, soggetto sul quale quasi ogni artista di tutti i tempi si è cimentato almeno una volta. In questa occasione, gli artisti a esporre saranno Francesca Bianchi, Yu-Chuan Chang, Roberta Colombo, Gaspare De Stefano, Eglė Grėbliauskaitė, Antonello Incagnone, Kong Wee Pang, Anastasia Titova e Mirta Vignatti. C’è chi si concentra su oggetti di vita quotidiana, realizzando ready made e calchi come in Prima colazione (Colombo) e chi invece mostra espone le Minne di vergine (seni di vergine), dolce tipico della zona di Alcamo (Incagnone). Ogni opera testimonia quanto individuale e sempre diverso sia l’approccio. A livello tecnico, stilistico e tematico. In questo modo il cibo assume quel carattere di personale possesso emblematicamente espresso dal titolo stesso della mostra.

Fino al 18 dicembre, Magazzini dell’arte contemporanea, via Custonaci 5, Trapani; info: www.magazziniartproject.com

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