Dalla Cina a Bruxelles

Nathalie Obadia gallery di Bruxelles presenta uno dei più interessanti artisti cinesi appartenenti alla nuova generazione di creativi orientali: Xu Zhen. L’artista ha raccolto intorno a sé una ventina di collaboratori che hanno deciso di rimanere anonimi presentandosi sotto il nome di uno stesso gruppo, Madein company. Fortemente politicizzati, lavorano su opere critiche contro il mondo politico ed economico contemporaneo che con le sirene della comunicazione stordisce e intorpidisce la mente. Come reazione a questo universo Zhen e compagni propongono la figura del gruppo che si contrappone all’immagine tutta romantica e pubblicizzata dell’artista solitario, loro allo sforzo del singolo preferiscono la creatività del molteplice. La scelta è coraggiosa soprattutto in un mercato dell’arte che preferisce di gran lunga il creativo in veste di demiurgo che un lavoro nato da più menti e privo di una paternità precisa. Non dobbiamo dimenticare che il paese da dove vengono i Madein company è la stessa società politica che ha portato Ai Weiwei a prendere posizione (con relativo sviluppo di opere) contro il mondo cinese, non proprio quello che a suo giudizio può definirsi un mondo libero. Ecco spiegato perché il giovane Zhen partecipa alla rivoluzionaria esposizione Fuck off curata dallo stesso Weiwei nel 2000.

Gli inizi dell’artista, dopo la sua formazione all’accademia di Belle arti di Shangai, li troviamo nella produzione video, opere tacciate di pornografia in Cina per la violenza delle immagini proposte. Così riesce a emergere nel mondo creativo della città, ad attirare l’attenzione di Weiwei e da lì la mostra Fuck off e cinque anni dopo la partecipazione alla biennale di Venezia per il primo padiglione cinese nell’evento lagunare dove presenta forse il suo video più famoso: 88.481,86 numero che si riferisce all’altezza del monte Everest al quale l’artista ha sottratto un metro di neve per poi esporlo dentro una teca.

In mostra a Bruxelles troviamo ripercorso il cammino dell’artista e i lavori realizzati insieme al collettivo. Tele di grande formato avvolte da un’estetica barocca nella quale si fondono elementi legati alla tradizione occidentale con figure orientali e rimandi al mondo cibernetico come a costituire una sorta di storia dell’umanità alternativa. Rispecchiano le varie iconografie anche i materiali: alla classica tela si sovrappongono carta cinese, pelle, tessuti considerati nobili come il velluto ma anche paiellettes e piume. L’ispirazione sembra nascere dai bestiari medievali e dagli arazzi rinascimentali dei quali riproduce il patchwork d’immagini. Quattro statue alte più di due metri completano il percorso. Le sculture ieratiche si ergono al centro della sala contro ogni tipo di oppressione politica. Sul capo dei totem infatti troviamo dei copri capi giganteschi, molto più grandi di quello che dovrebbero essere: un modo semplice ma chiaro per denunciare l’illeggittimità dei poteri tirannici. Quelle che sembrano a prima vista delle statue rigide, pesanti e immobili, sono in realtà costruite con il poliuretano espanso, materiale leggerissimo e plasmabile. L’intento è chiaro, il paradosso è smascherato: strutture così rigide contengono una base fragilissima.

Fino al 4 gennaio; Nathalie Obadia gallery, Bruxelles; info: www.gallerie-obadia.com

 

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