Garcia riparte dallo zero

Lo zero è da sempre considerato un numero ambiguo; ai tempi dell’antica Grecia non aveva neppure dignità di numero. Si narra che gli arabi lo ereditarono dagli indiani insieme al sistema di numerazione decimale denominandolo Sifr e in seguito lo trasmisero agli europei durante il medioevo. Lo zero, inoltre, non è semplicemente un numero, ma un concetto filosofico piuttosto ampio, carico di significati esistenziali, tramandati nel corso dei secoli. Lo zero è il simbolo iconografico che rappresenta il nulla, il vuoto, ma allo stesso tempo l’origine di tutto, il punto di partenza per i numeri positivi e negativi, tra i quali si colloca nel mezzo, in una sorta di purgatorio numerico.

L’esposizione Sifr di Frederik Garcia, si presenta quindi, già nel titolo, ricca di contenuti allegorici e di significati allusivi. Lo stesso nome, Frederik Garcia, non si riferisce a una singola persona ma a un collettivo di recente formazione composto da due artisti, Riccardo Nannini e di Anna Moran. Prima di questa esposizione, il loro lavoro si era incentrato nella produzione di dipinti e illustrazioni grafiche, caratterizzati dall’uso predominante del bianco e nero. Accumunati da una forte propensione all’ironia e alla provocazione, i due artisti traggono spunto per le loro immagini da ogni dove, a partire da suggestioni artistiche e cinematografiche ereditate dall’infanzia, fino ad arrivare a un universo più complesso, carico di simbolismi religiosi, allusioni scientifiche e metafisiche, come nel caso delle opere in mostra alla Galería Artevistas di Barcellona. In questo caso, Frederik Garcia si confronta con il corpo, inteso come sfondo o forse come protagonista, esposto all’obiettivo della macchina fotografica nudo, riconoscibile nelle sue forme ma irriconoscibile nella sua identità e nascosto dietro simboli dorati che paiono sistemi solari, appiccicati a mo’ di figurine a corpi immobili, senza sesso. ?L’unico elemento vivo è lo sguardo, che trafigge maschere dorate che ricoprono i volti, creandone due fenditure piccole, ma estremamente profonde. Macchine metafisiche, vengono definiti i soggetti, come se facessero parte di un esercito di guerrieri appartenenti a galassie sconosciute, ultraterrene.

Negli anni ‘60 Luigi Ontani diceva: «Attraverso la maschera vado cercando gli eredi ideali di una ritualità che nel mondo è ovunque indipendentemente dalle condizioni attuali». Per Ontani le maschere sono l’archetipo di una religiosità mitologica, ispirata a un’iconografia in bilico tra occidente e oriente, per lui fonte di ispirazione costante. Similmente per Frederik Garcia alcune maschere dorate e i loro asteroidi collocati intorno al corpo umano nudo, sembrano fare appello a una religiosità ancestrale che rimanda all’origine divina della vita. Al contempo, però, altre immagini, fanno pensare alla celebre maschera funeraria in lamina d’oro di Agamennone rinvenuta a Micene dall’archeologo tedesco Heinrich Schliemann. ?Eros e thanatos, pulsione vitale e mortale, s’intersecano in queste ambigue figure a metà tra corpi senz’anima e fonti di energia vitale. Fino all’8 settembre, Galería Artevistas, Passatge del Crèdit 4, 08002 Barcellona. Info: www.artevistas-gallery.com

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