I poveri cristi di Christos

Non è mai facile raccontare un narratore dai suoi racconti. Se questi, poi, usa una lingua vecchia come l’Occidente ma ignota ai più, vedi il greco, lo è ancora di più. Così, per Christos Ikonomou e il suo Qualcosa capiterà, vedrai non può dirsi con scioltezza se, al di là delle abusate formule di rito dei promo editoriali e delle insidie della traduzione (di Alberto Gabrieli), a cosa sei di fronte. Certo, qualcosa di buono c’è, se il ministero della cultura greco ha deciso di premiare con l’omonimo premio il libro edito da Polis un paio d’anni fa e ora proposto in versione italiana da Editori internazionali riuniti (222 pagine, 15 euro). Così, cominciamo a mettere i puntini sulle i della forma e della sostanza di questo scrittore nato ad Atene nel 1970. A partire dallo stile: secco, bastantemente asciutto, come si conviene a una raccolta di racconti, ma non privo d’una certa poetica e, persino, di lapidari cenni sul senno del mondo. Pillole di buonsenso – vedi il paragrafo sotto, ripreso da pagina 138 – che tracannano il malvivere greco in un bicchiere d’ouzo, faccia all’Occidente che l’ha figliato e di cui è figlio, distratto e disaccosto. Così, sfidando l’orbe a recitare all’impronta il nome d’un autore greco più contemporaneo d’Omero – almeno vivente – è cosa buona e giusta parlare d’Ikonomou, del suo tentativo di far tracimare a casa nostra le disgrazie di casa sua. Di mostrarci, pure nella bella copertina d’una fune slabbrata in procinto di sciogliersi – epitome d’una civiltà rinsecchita che nel suo sfilacciarsi ramazza le vite d’ognuno e dei più – come si campa nell’Ellade d’oggi.

Quanto alla sostanza dei racconti, l’impressione è che ci sia troppa uniformità – a tratti, anche nei nomi dei personaggi e dei casi che tornano – un tratto monocorde nel tono generale e nei fatti narrati. Non è uno specchio della società greca quello che l’ateniese racconta né, forse, era sua intenzione farsene specchio per gli altri, quelli della stessa faccia stessa razza, come recitava un refrain di qualche tempo fa. È piuttosto un concentrato di disgraziati, lacerti d’anime vagule blandule che non riescono a dare un senso, e neppure lo cercano, al proprio vissuto, precipitando nel nonsenso delle proprie vite e di molti racconti. I cristi di Christos sono povere anime in pena pei soldi e gli affanni, certo, ma che nulla chiedono se non d’esistere, anzi di tirare a campare. D’esserci senza restarci secchi. Se l’afflato generale è monocorde, ciò è dato anche dalla mancata trasversalità dei ceti e dunque dei generi nei quali si sarebbero potute sciorinare le storie, arricchendole. Ma, soprattutto, se compito della letteratura è narrare il mito, non mero descrivere i fatti, allora questo è mancato, alla prova dei fatti. Ha senso, specie nella terra del mito, narrare alcunché senza fornire l’abbrivio a qualcosa che pure potrà essere, sarà, fuori dalla linea di mare e di cielo, come pure lascerebbe sperare il titolo? Ecco cosa cosa manca al tenore dei racconti per farsi epica d’una narrazione. Certo, non può chiedersi questo a un pugno di racconti, così dobbiamo accontentarci di qualche bagliore nell’orizzonte color caffè. Così, pure, dobbiamo accontentarci di mettere nel conto della lettura quei motivi che la rendono buona ma non tolgono il sapore di ruggine sulle ossa dei protagonisti. E di attendere Ikonomou alla prova del racconto lungo, dandogli credito e tempo. Brani come quello qua sotto giustificano l’attesa E adesso godetevi il paragrafo di cui sopra.

“Sapete come a volte vanno le cose. Invecchi e vivi delle situazioni e leggi libri e conosci gente e luoghi e situazioni e arrivi a un’età in cui hai creduto, in cui sei ormai sicuro che tutto nella vita è casuale e che la tua vita e la vita di ogni persona è un piccolo universo capovolto all’interno del quale tutto si muove alla cieca senza uno scopo, un universo senza dio, senza regole, senza scopo – un caos. E poi succede qualcosa e questa tua credenza vacilla e allora cominci a chiederti se per caso hai fatto un errore, se per caso esiste qualcosa alla fine che dà un senso al caos, se per caso esiste una fune nascosta che lega la tua vita alle vite degli altri. E ti spaventi. Ti spaventi perché se è davvero spaventoso vivere nel caos è doppiamente spaventoso sapere che non vivi nel caos ma in un mondo con leggi e regole che però non conoscerai mai, che sei incapace di conoscere – che non potrai mai, per quanto tu la possa cercare, trovare questa sottile fune nascosta, né aggrapparti ad essa per salvarti, per trovare da dove comincia e dove finisce”.

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