La vita accanto e le sue sorprese

La vita accanto è il romanzo d'esordio della scrittrice vicentina Mariapia Veladiano. Qui la breve intervista

La vita accanto inizia così: “Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. Non c’è prospettiva d’insieme. Non c’è oggettività. La si racconta dall’angolo in cui la vita ci ha strette, attraverso la fessura che la paura e la vergogna ci lasciano aperta giusto per respirare, giusto per non morire. Una donna brutta non sa dire i propri desideri. Conosce solo quelli che può permettersi. Sinceramente non sa se un vestito rosso carminio, attillato, con il decolletè bordato di velluto, le piacerebbe più di quello blu, classico e del tutto anonimo che usa di solito quando va a teatro e sceglie sempre l’ultima fila e arriva all’ultimo minuto, appena prima che le luci si spengano, e sempre d’inverno perché il cappello e la sciarpa la nascondono meglio. Non sa nemmeno se le piacerebbe mangiare al ristorante o andare allo stadio o fare il cammino di Santiago de Compostela o nuotare in piscina o al mare. Il possibile di una donna brutta è così ristretto da strizzare il desiderio. Perché non si tratta solo di tenere conto della stagione, del tempo, del denaro come per tutti, si tratta di esistere sempre in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo”.

La vita accanto (Einaudi, 172 pagine, 16 euro), è il romanzo d’esordio di Mariapia Veladiano, cinquantenne vicentina, seconda classificata all’ultima edizione del premio Strega con 74 voti e vincitrice, nel 2010, del premio Calvino. La storia è naturalmente quella di Rebecca, una bambina appunto brutta, che, nonostante l’handicap determinato dal suo aspetto fisico e le difficoltà per farsi accettare, riesce alla fine a conquistare il suo posto nel mondo, a vivere pienamente come tutte le altre persone cosiddette normali.

Ripudiata dalla stessa madre che alla nascita della figlia si chiude in casa e in sé stessa per vergogna e delusione, ignorata quasi dal padre, serio professionista incapace di starle vicino, con una forza che conquista inconsapevolmente nel corso degli anni, Rebecca incontra sul suo cammino persone che l’amano per quella che è, dalla tata Maddalena all’amica Lucilla. Le regalano un affetto semplice, ma determinante per un essere a cui la società e la famiglia voleva negare ogni desiderio e ogni possibilità di rivalsa. Trova ragioni per esistere, scopre un talento e una passione per la musica. Costruisce una rete di relazioni sincere. Comincia a volersi bene, a chiedere, a desiderate come tutti gli altri. All’inizio le parole non escono, soffocate dalla colpa, poi arriva la speranza, il sorriso, una stretta di mano inaspettata a cambiare le cose. A trasformare il corso delle giornate solitarie e tristi. Una storia limpida di passione, fragilità e riscatto, raccontata con la leggerezza e la ferocia di una favola.

Ma chi è la protagonista del romanzo?

Lo spiega la stessa Veladiano, incontrata al ninfeo di villa Giulia a Roma, alla serata di premiazione del premio Strega.
«Rebecca è una bambina brutta – esordisce l’autrice – che rimane brutta, non è il solito anatroccolo che alla fine si trasforma in cigno. Ma grazie a una serie di relazioni molto e positive, trova la sua possibilità di vivere, di essere serena e anche felice.Trova la bellezza vera che non è quella dell’apparire, dell’abbagliare. La bellezza vera risiede nell’intensità dell’essere, nell’avere qualcosa da dire, da costruire per poter migliorare il mondo. È una vita accanto come ce ne sono tante e come tantissime oggi vengono ignorate, però è una vita possibile e vera, non è marginale quella che la protagonista si conquista. È una vita piena senza che ci sia necessariamente un forzato “happy end” che consiste nel diventare poi belle oppure nell’avere successo. Le vite della maggior parte di noi non sono vite di persone che hanno successi strepitosi, ma sono vite, sono belle vite».

Una vita normale, nell’accezione positiva del termine?
«Sì, non si deve aver paura della normalità, perché normalità vuol dire che esiste una relazione, che c’è un rapporto, che c’è un mondo intorno a noi. Si deve aver paura della marginalità, perché vuol dire che siamo stati esclusi».

L’esordio della Veladiano ha conquistato lettori e critica. Marco Bellocchio ha acquistato i diritti del libro per realizzarne una versione cinematografica. Mariapia Veladiano è laureata in filosofia e teologia. Insegna lettere e collabora con la rivista Il Regno.

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