Radpour, sogni di corpi e paesaggi

Come il drammaturgo francese Jean Genet che nel suo Diario del 1949 si definisce esso stesso ladro solo perché così veniva etichettato dalla società come conseguenza di una vita poco ortodossa, allo stesso modo Arash Radpour si definisce un bombarolo per il solo fatto di essere di origine iraniana. E a ricordarlo costantemente a sé stesso e ai visitatori della sua tana, una luminosa casetta che si affaccia su una terrazza condominiale dove mancano i piatti per mangiare ma non gli obiettivi delle macchine fotografiche, primeggia sul tavolo stracolmo di libri una rudimentale bomba assemblata con un orologio analogico legato da uno spago a dei candelotti rossi.

Alle pareti grandi stampe incorniciate di alcuni tra i suoi scatti più riusciti a conferma che una passione iniziata da piccolo, alimentata dal padre Dariush, illustratore politico e satirico, si è definitivamente indirizzata in un canale creativo capace di esprimere se stesso e al contempo emozionare gli altri. «Sono convinto che la cosa fondamentale da cui scaturiscono le mie opere sia l’idea, il motore primo di tutto il processo creativo», esordisce il fotografo alle prese con la preparazione di un gustoso piatto di pasta mentre racconta di un debutto nel mondo dell’immagine caratterizzato dalla totale libertà espressiva nata da un viaggio. Nel 2004, infatti, si trasferisce per un periodo a New York armato di una compatta digitale, regalo della mamma russa amante della musica. A quel periodo risalgono alcuni scatti della città di notte, immagini iperrealistiche e sospese di luoghi metropolitani la cui suggestiva originalità gli fa guadagnare credibilità per la sua prima mostra. Da quel momento la sua produzione è prolifica e inarrestabile, gli elementi ritratti sono principalmente i paesaggi e i corpi. «Mi piace lavorare con soggetti che nel momento dello scatto provano delle emozioni vere, emozioni che al momento della resa fotografica lo spettatore può cogliere nuovamente e interiorizzare. Lavoro sia sulla luce interna che una persona emana sia sulla sua psicologia, prediligendo le emozioni istintive. Amo molto le donne, quando devo scegliere di lavorare con un soggetto la mia scelta ricade su ciò che ammiro. Con ognuna delle donne con cui ho scattato ho avuto una storia d’amore, ideale e intensa, terminata nel momento in cui è finito lo shooting».

Una fisicità consapevole e allusiva, come ha scritto il critico Gianluca Marziani nella prefazione del catalogo della mostra “The sweet hereafter”: «A permeare negli scatti di Radpour è sempre la magia scenografica, l’attitudine classica delle posture, una tensione senza confini spaziotemporali. Il corpo, maestoso irradiatore di eventi impercettibili eppure dilaniati, fortissimi, stravolgenti. Un corpo che si esibisce con ponderata lentezza feticistica, bloccando ogni gesto nel sublime istante iconografico». Per incorniciare questi corpi, uno dei quali estremamente sexy è finito sulle pagine italiane di Playboy, viene data anche una grande importanza alla scelta delle location, possibilmente all’aria aperta vista la predilezione di Arash per la luce naturale. «È importante che il luogo dove si lavora sia un non luogo, una dimensione non direttamente identificabile: il tentativo è quello di restare sempre in una sorta di penombra e di solleticare lo spettatore in modo che sia lui, con la sua immaginazione, a completare il quadro di quello che sta guardando». Una visione che deforma la normale prospettiva di ricezione delle immagini, solleticando le zone d’ombra emozionali di chi guarda. «Sono molto attratto dal limite ma tendo a rispettarlo. Anche quando lavoro su tematiche molto spinte, con immagini che sublimano il sesso o la violenza, cerco di portarmi oltre ma in modo intelligente per non rischiare di essere etichettato come un artista volgare, pericolo che in un certo tipo di fotografia può essere sempre in agguato. La mia intenzione non è assolutamente quella di essere un provocatore fine a se stesso».

Lontano dalla provocazione la sua prossima mostra, in programma tra febbraio e marzo a cui attualmente sta lavorando, in collaborazione con Film.it e la Gervasuti foundation che vedrà esposta una selezione di eleganti ritratti di icone cinematografiche raccolte tra i festival di Venezia e Roma: da Nicolas Cage a Carlos Saura passando per Ewan Mc Gregor, solo per citarne alcuni. Più che il suo passato come allievo all’istituto per la cinematografia Roberto Rossellini è l’alta possibilità di sperimentare insita nella libertà espressiva della videoarte ad affascinarlo maggiormente in questo momento: «Per ora ho effettuato una sola incursione nel campo della videoarte con l’opera di sei minuti “In laetitia”, presentata all’ultima edizione del festival Molise cinema nella sezione dedicata alla videoarte. Ma è nei miei progetti lavorare ancora con questo mezzo di cui apprezzo la tante possibilità narrative. Ho infatti iniziato delle ricerche sull’epilessia, tema che vorrei trattare nel mio prossimo video».


L’ARTISTA

Iraniano di Roma
Arash Radpour è nato a Teheran, in Iran, il 7 febbraio 1976. Nel 1980, a seguito della rivoluzione, si trasferisce con la sua famiglia a Roma, città in cui il padre aveva svolto i suoi studi. Nel 1995 si diploma all’Istituto per il cinema e la televisione Roberto Rossellini. Ha firmato campagne internazionali di moda e pubblicità per le quali ha vinto diversi premi. Ha alle spalle diverse esposizioni tra cui: la galleria Overfoto di Napoli, Altri lavori in corso a Roma e la collettiva “New italian image” svoltasi nel 2008 a Mumbai in India. Ha partecipato alla 52esima Biennale di Venezia con la collettiva Faccia lei ospitata allo spazio Thetis dell’Arsenale. Info: www.arashradpour.net.

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