Sarà visitabile fino all’inizio di giugno 2025 la mostra Cartier-Bresson e l’Italia negli spazi di CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino. La mostra è curata da Clément Chéroux, direttore della Fondazione Cartier-Bresson di Parigi, e Walter Guadagnini, direttore della Fondazione CAMERA, ed è stata realizzata in collaborazione con le rispettive Fondazioni e con la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
L’esposizione propone 160 scatti del celebre fotografo normanno (1908-2004), figura di riferimento per la fotografia del Novecento (e anche di oggi), tanto da essere soprannominato “l’occhio del Secolo”. Il filo conduttore della mostra, come sottolineato anche dal titolo, è il rapporto tra Cartier-Bresson e l’Italia che lo ha visto suo ospite a più riprese, la prima volta durante la sua giovinezza, nel 1932, e poi successivamente tra gli anni Cinquanta e Settanta, decennio – quest’ultimo – che ha segnato l’abbandono della fotografia professionale da parte sua.

Spostandosi tra le sale che espongono cronologicamente gruppi di fotografie riconducibili a ciascun viaggio di Cartier-Bresson, lo spettatore vede riassunti per immagini davanti ai propri occhi circa 30 anni di Storia italiana a partire dal secondo dopoguerra (con alcune incursioni, come detto, negli anni Trenta) con le sue trasformazioni e contraddizioni, fino a lambire le rivendicazioni che hanno avuto luogo tra anni Sessanta e Settanta, alle soglie dei cosiddetti Anni di Piombo.
Questa mostra, attraverso l’obiettivo di Cartier-Bresson, ci offre un suggestivo spaccato del nostro Paese durante gli anni del boom economico, diviso tra grandi città, urbanizzate e moderne, e la vita lenta e ancora legata ai cicli agricoli e stagionali delle aree rurali (soprattutto nel sud della penisola). È il caso delle fotografie che Cartier-Bresson realizza a Scanno (Abruzzo, 1951-52), popolate dagli abitanti del piccolo paese marsicano avvolti nei loro pesanti abiti neri, e, sempre nello stesso torno di anni, in Lucania, area che il fotografo visita accompagnato da Carlo Levi (autore del celebre libro Cristo si è fermato a Eboli, ambientato proprio in quelle terre emarginate e solitarie), a cui dedica anche il ritratto fotografico (1951) presente in mostra.
Da nord a sud, senza escludere le isole, durante il suo Grand Tour Cartier-Bresson offre al mondo una immagine del nostro Paese complessa e sfaccettata grazie anche alle sue numerose collaborazioni con riviste del calibro di Life, Harpeer’s Bazar o Vogue: è proprio per quest’ultima, per esempio, che nel 1962 realizza un reportage in Sardegna, tra le spiagge di Dorgali e i monumenti di Cagliari.
Cartier-Bresson torna poi più volte a Roma dove immortala non solo la quotidianità aneddotica e un po’ prosaica della gente comune (una battuta di caccia alla volpe tra le antiche vestigia romane nel 1951, i vigili urbani in Piazza Navona nello stesso anno, una ortolana al mercato nel 1959) ma anche grandi eventi di portata internazionale come la proclamazione di Papa Giovanni XXIII nel 1958 con tutto lo sfarzo e il trambusto (ricchi però di dettagli che non sono sfuggiti alla Leica di Cartier-Bresson) che essa ha determinato, dal bagno di folla che investe la sedia gestatoria del pontefice, passando per l’eleganza dei diplomatici e delle loro famiglie, fino alle suore con il binocolo che cercano di osservare la scena da lontano.

Tutto questo fa in realtà parte di un progetto di più ampio respiro, dal titolo Les Européeens (1955), che abbraccia appunto tutta l’Europa e che punta a una rappresentazione della vita delle persone all’interno del loro contesto storico, geografico e culturale, basata su un rapporto tra figure e spazio sempre organico e armonico. Fulcro di tale progetto è, naturalmente, ciò che più di tutto qualifica la fotografia di Cartier-Bresson, ovvero la sua strenua ricerca dell’“istante decisivo”, cioè il momento esatto in cui tutti gli elementi della composizione si trovano nella loro configurazione corretta dando vita a uno scatto equilibrato, capace di evocare qualcosa in chi lo guarda.
È ciò che, con altre parole, viene descritto anche nel testo che accompagna l’articolo pubblicato nella rivista americana Holiday (gennaio 1954) e dedicato ad alcuni scatti di Cartier-Bresson, tra cui una fotografia da lui realizzata nel 1953 presso l’isola veneziana di Torcello: qui viene fissato sulla pellicola l’esatto momento in cui una ragazzina, dopo aver attraversato di corsa un ponte, sta per sparire dietro a degli arbusti spogli, mentre un campanile si staglia in secondo piano, in corrispondenza della mezzeria della scena, e la punta sinuosa della gondola da cui è stata scattata la fotografia sembra inseguire di soppiatto la bambina nella sua fuga. “It is only an instant of time but an instant to remember”, si legge nell’articolo che prosegue sottolineando come il merito del grande artista – del grande fotografo – sia quello di saper cogliere “with a trained eye the flick of life, the exact moment of significance.”
Per usare le parole dello stesso Cartier-Bresson, “rigore, controllo, disciplina, cultura, sensibilità” assieme a “cuore, occhio e intelligenza” (e anche un briciolo di fortuna, come ammette poco dopo) sono le caratteristiche che un vero fotografo deve avere per carpire quel “moment of significance” e produrre scatti davvero capaci di evocare qualcosa e non solo di documentare. “Fuori di questo” – aggiunge – “la fotografia non mi interessa.”

Il visitatore della mostra ha infatti la possibilità di sentire direttamente le parole del fotografo poiché, a conclusione del percorso espositivo, viene presentato in versione integrale anche il film-documentario Primo piano. Henri Cartier-Bresson e il mondo delle immagini (1964) realizzato dalla RAI e messo a disposizione per l’occasione dall’archivio delle Teche RAI. Si tratta di una intervista al fotografo condotta dallo storico Romeo Martinez (1911-90) durante la quale Cartier-Bresson si esprime in merito alla sua concezione di fotografia, da lui intesa come un mezzo di espressione visiva e un modo di capire la realtà strettamente legato all’arte pittorica (lo stesso Cartier-Bresson ha studiato pittura negli anni Venti), dalla quale trae senz’altro la grande attenzione per la composizione dei suoi scatti.
In merito a questo, si esprime anche Pierre Gassmann, storico stampatore di Cartier-Bresson, che ne commenta la precisione compositiva portando come esempio la fotografia – assente nella mostra torinese, per ovvi motivi, ma estremamente celebre – dal titolo Pomeriggio sulle rive della Marna (1938): confrontando lo scatto sviluppato correttamente e una versione di quella stessa fotografia erroneamente incollata su un cartone ripiegando il bordo sinistro e quello inferiore sulla superficie (tagliando così parte della mano dell’uomo collocato sulla sinistra e del prato in basso alla scena), si può notare come il bilanciamento complessivo e l’armonia generale vengano irrimediabilmente compromessi.
Questa manomissione apparentemente insignificante testimonia, insomma, come gli scatti di Cartier-Bresson siano davvero contraddistinti da una precisione quasi millimetrica nella resa dell’equilibrio compositivo. “Sposta una sola nota e si immiserisce tutto. Sposta una sola frase e la struttura crolla” fa dire Miloš Forman a un estasiato Salieri intento a esaminare le partiture originali di Mozart nel suo celebre film dedicato al compositore austriaco.
Parafrasando Salieri e riprendendo Gassmann noi potremmo forse dire, sulla fotografia di Cartier-Bresson: “Togli un solo centimetro e si immiserisce tutto. Taglia un solo margine e l’istante decisivo scompare”.

Cartier-Bresson e l’Italia
Fino al 2 giugno 2025
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino
info: camera.to