“L’ultimo rivoluzionario” ha titolato il quotidiano “Domani” il pezzo sulla scomparsa di Papa Francesco. Che di commossi e attoniti necrologi, di appellativi non sempre congrui con l’essere Papa, di lacrime e di paure per come sarà il mondo senza quella voce che, unica, si levava contro la guerra, in due giorni ne ha collezionati moltissimi, pur tra ipocrisie e tentativi truffaldini di appropriarsi di questo papa già icona.
Tutto vero. Purtroppo, mi verrebbe da dire. Nel senso che Papa Francesco è stato tutto il bene che oggi si dice di lui, pur trattandosi di un “bene virtuale”, in quanto profondamente inascoltato, ma tutto questo “bene” rischia di scomparire con lui, venendo a mancare “l’ultimo rivoluzionario” che poi, come un uomo qualunque, confessava di non saper più che fare contro l’orrore di oggi.

Ma Papa Bergoglio è stato anche altro. È stato il pontefice seriamente interessato alla cultura. Solo Papa Francesco poteva immaginare, per la Biennale di Venezia di un anno fa, un Padiglione del Vaticano dentro un carcere, per giunta femminile. Obbligando quell’istituzione, divenuta il simbolo di tutte le carceri del mondo, ad aprire le proprie porte e a permettere l’ingresso di estranei, di visitatori più o meno interessati all’arte. Chiedendo, inoltre, che a fare da guida fossero le stesse carcerate, che così si erano ritrovate a interpretare e ad entrare nell’immaginario degli artisti. C’erano file e liste di attesa per varcare il carcere femminile della Giudecca. Ed è stata un’esperienza che ha restituito all’arte la sua voce forte, autorevole.
Ma non basta. Che io mi ricordi Papa Francesco è stato l’unico a voler incontrare artisti, registi, architetti, scrittori e poeti, convinto che “l’artista è colui o colei che ha il compito di aiutare l’umanità a non perdere la direzione, a non smarrire l’orizzonte della speranza”. Perché gli artisti “sanno pensare e … sono i custodi della bellezza che sa chinarsi sulle ferite del mondo”.
Ben altro dagli artisti “che ci fanno tanto divertire”, come disse goffamente Giuseppi quando gli concesse qualche ristoro ai tempi del Covid. A differenza di Conte, Bergoglio sapeva – testuale – che “la vera arte non è mai comoda”.



L’incontro con gli artisti è avvenuto il 23 giugno 2023 e l’occasione erano i cinquanta anni della collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei musei Vaticani. Non so come il Papa e, immagino, il cardinale Ravasi, presidente emerito del Pontificio consiglio della cultura, abbiano scelto chi incontrare, ma ricordo molte immagini su Instagram e commenti felicemente sorpresi di tanti amici artisti che erano stati invitati. Poi, a febbraio 2025, c’è stato il Giubileo dedicato a loro, conclusosi con le mostra Global Visual Poetry: traiettorie transnazionali nella Poesia Visiva, a cura di Raffaella Perna, e l’apertura di Conciliazione 5, con il ciclo di mostre, curate da Cristiana Perrella, che vogliono essere “una finestra d’arte su strada”.
E non c’è solo la cultura. Papa Francesco è stato attento e sensibile su temi cruciali del nostro tempo, come il cambiamento climatico e l’Intelligenza Artificiale, denotando un’apertura mentale al di là di questioni religiose ed evangeliche. E senza intervenire direttamente nella dottrina, non modificando cioè sostanzialmente la posizione della Chiesa sulla sessualità e i temi legati al genere, ha però dichiarato di non poter giudicare i gay e ha condannato le leggi che criminalizzano le persone LGBTQI+, definendole “ingiuste”, in quanto “Dio ama tutti i suoi figli così come sono”.


Ci si poteva aspettare di più da un papa? Non penso. È già parecchio affermare che gay e transgender possono essere battezzati, è qualcosa verso il quale nessun pontefice si era mai spinto.
Stessa posizione, a mio parere, sull’aborto. Che Papa Francesco non poteva ammettere (avrebbe potuto continuare ad essere papa se lo avesse fatto o si sarebbe dovuto dimettere, e per ben altre ragioni da quelle di Ratzinger?). Eppure, anche se l’aborto resta un peccato per lui e per chi ha la fede, Bergoglio ha mostrato una sensibilità fuori dal comune verso la donna: dall’urgenza di intervenire contro la violenza di genere, ricordata anche nell’ultima preghiera il giorno di Pasqua, alla scelta di essere sepolto sotto la protezione di un’immagine femminile, la Salus populi romani, la Madonna che aveva pregato in tante occasioni nella basilica di Santa Maria Maggiore.
E poi c’è un altro femminile, o almeno quello che si considera tale. L’invito a non aver paura di piangere, di mostrarsi deboli, fragili. Anzi, la rivendicazione del pianto come momento di verità.
Forse solo da questa costellazione di sensibilità, da questa apertura al mondo, e a quello vero, si capisce, e si radica nel suo caso, il forte interesse verso la cultura. Intesa non come un territorio, o una pratica, estranea alla vita, alla sensibilità, all’amore, ma come parte integrante di questi.
