Etere dislocato, uno sguardo su “Tonight (alive and kicking)” di Sgambaro

Nell'installazione dell'artista Davide Sgambaro una lavagna magnetica raffigura disegni di stelle. È un corpo celeste in stato transizionale

Se le stelle siano ancora capaci di caduta sotto il cielo del tardo capitalismo, è una preoccupazione gravitazionale sorta di fronte l’installazione Tonight (alive and kicking) dell’artista Davide Sgambaro. Un cruccio relegato alla notte, non a chi s’ostina disperato a sovra-produrre bagliori senza scorgerne polvere e ghiaccio.

Tonight (alive and kicking) è la vita precedente di un corpo celeste in stato transizionale. È stata una lavagna magnetica che regge senza trattenere disegni raffiguranti stelle eseguiti con spray acrilico nero. È diventata cornice di micro stelle timbrate lungo il perimetro di uno spazio espositivo utilizzando la punta di un paio di scarpe con stelle in rilievo. Sgambaro abbassa l’orizzonte al punto da far strisciare il desiderio ipotizzando un cielo calpestabile quanto un suolo desertificato.

Con soluzione di continuità, l’atto sconfina nell’allestimento, circostanza invisibile allo spettatore al quale non resta che comprovare la traccia postuma di una gestualità ripetuta di cui è probabile avanzo. Rimane un battiscopa fatto di stelle, un etere dislocato la cui natura domestica irrompe invertendone la funzione protettiva: l’urto non è l’ipotesi ma la condizione. A favore di collisione, Sgambaro traccia un vincolo celeste legando trauma generazionale e desiderio: binomio affiatato nel disfacimento di una concezione tradizionale della famiglia come presunta fucina di incolumità. Stelle e inchiostro contraddicono tale presunzione d’innocenza insinuando caterve di irrisolti famigliari prima trasmessi, poi racchiusi sotto la definizione di fantasma nella cripta.

Tonight (alive and kicking) è un affanno fulgente, una caduta di sogni e desideri ai domiciliari a cui segue la tenerezza caustica dell’incontro universale tra disillusione e risveglio: al mattino l’inevitabile si mastica a colazione. Ma un’opera che interviene sul desiderio, riproduce l’assenza dell’oggetto desiderato. Assenza declinata all’infinito presente de-siderare, composto da una particella privativa e dal nominativo plurale sidera che letteralmente restituisce senso, gelo e mancanza: mancare di una stella, delle stelle è la condizione di chi desidera. «Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle, no per il freddo ma di quel niente che passa per i cieli e fiata sulla terra che ringrazia.» (F. Loi)

Pare allora che il desiderio rifugga l’ontologia come entità recidiva e statica accostandosi all’hauntologia derridiana: non rinuncia al futuro, neppure allo spettro. Infestazione e essere coesistono in una crasi linguistica data dalle parole haunting e ontology che mercificano con ciò che non è più o non è ancora. La crasi è nella lingua, la crisi nello spaziotempo. Allo stesso modo – tra assenza indotta e precarietà generazionale – Sgambaro lascia pedate a inchiostro confezionate a forma di stelle. Molto della sua pratica è un tempo presente infestato da un lascito materico consumato e compiuto senza spettacolo né spettatore. Traumi come pareti infestate e sogni commissionati a stelle infrante albergano nel silenzio contratto di una domanda che deve mancare di parola.

Ebbene, l’afasia sta al desiderio come l’impossibilità al linguaggio, in uno scenario postmoderno in cui le opere sono lo spettro «come astri dal vuoto delle occhiaie». Senza intenzionalità, con affinità, sembra che Sgambaro abbia tradotto in superfici stellate queste esatte parole dell’ultima lettera che Marx rivolge a Ruge: «Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa».

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